Regia di Nicolas Pariser vedi scheda film
Nella guida del festival "Le Grand Jeu" figurava con due caratteristiche che ci hanno indotto ad andarlo a vedere; quella più stimolante è che si trattava di un'opera prima presentata nel concorso dei Cineasti del presente, la sezione dedicata alla scoperta dei nuovi talenti cinematografici. L'altra invece, riguardava direttamente il nostro gusto personale e la predilezione verso un genere, il polar, a cui "Le Grand Jeu" senza dubbio appartiene. Il grande gioco a cui si riferisce il titolo ha una valenza che, a posteriori, è indicativa della doppia natura della storia raccontata nel film. Perché la ricompensa che Joseph Paskin offre allo scrittore Pierre Blum, per aiutarlo a screditare l'operato di un importante ministro con la scrittura di un pamphlet che inneggia alla ribellione e alla violenza costituisce il nucleo del mistero e delle ambiguità che sono parte integrante di qualsiasi storia criminale. Paskin infatti, è un uomo di potere che vive negli interstizi del sistema e che rappresenta l'ago della bilancia di un gioco di potere che fa capo ai vertici stessi dello stato. Pierre, a sua volta, stanco della scrittura e deluso da anni di militanza politica né è il perfetto controaltare, per la visione eroica e appassionata dell'esistenza umana. Due facce della stessa medaglia che il film mette insieme attraverso l'accordo raggiunto dai due uomini e che poi alimenta quando, a seguito della scoperta dell'intrigo da parte delle autorità, Pierre è costretto a lasciare la città e a rifugiarsi nella comune che aveva lasciato quindici anni prima.
Considerato che la fuga di Pierre e il suo temporaneo ritorno al passato occupano la sezione centrale del film, mentre le altre due, ne sono rispettivamente l'antefatto e la conseguente conclusione, la sfida dell'esordiente Nicolas Pariser era quella di raccontare la storia, rispettando i codici e gli stilemi del genere di riferimento. In questo senso, tutta la parte iniziale è da antologia, grazie a una scrittura in grado di mantenere sospesa l'atmosfera di pericolo che aleggia sopra i personaggi e alla presenza di dialoghi - fitti e ritmati - che danno corpo alla temperie sentimentale messa in campo dal film senza alcuna pesantezza ma anzi, riuscendo a lasciare intendere, senza mai mostrarlo allo spettatore, il meccanismo perverso che sottende all'attività eversiva messa a punto da Paskin. Diversamente, quando "Le Grand Jeu" si sposta sul versante politico che fa capo alle scelte ideologiche abbracciate dalla donna di cui Pierre si innamora, il film perde tensione, arrancando dietro i fantasmi sessantottini che aleggiano all'interno della comune in cui il protagonista trova asilo. A salvare il risultato, collocando il film nella posizioni di eccellenza che lo riguardano, ci pensa per nostra fortuna il serrato finale e i molti colpi di scena che si accavallano in un quadro di assoluta coerenza narrativa e drammaturgia. Melvil Poupaud nella parte di Pierre e André Dussollier in quella del suo oscuro mentore, contribuiscono in maniera decisiva alla credibilità dell'impresa.
(pubblicata su ondacinema.it/speciale 68 festival del film di Locarno)
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