Regia di Curtis Bernhardt vedi scheda film
Se confrontato al film di Ernest Lubitsch, manca di alcune sottigliezze, né ha la raffinatezza del remake del '34, ma merita di essere visto perché costumi, scenografie sono comunque un piacere per gli occhi, Lana Turner è bellissima e sensuale, Fernando Lamas è affascinante e accattivante. Una commedia musicale che intrattiene piacevolmente.
Questo è il 3° remake della celebre operetta di Franz Lèhar; il primo è del 1925, che non ho avuto il piacere di vedere, ma quello forse meglio riuscito tra gli ultimi, è il film di Ernest Lubitsch del 1934, un bianco e nero che per classe, eleganza, costruzione delle scene, costumi, scenografie e magnifici numeri di valzer non ha nulla da invidiare a questo, pur bello, di Curtis Bernhardt, che io non mi sento di disprezzare, ma che non aggiunge nulla di particolarmente originale.
Il film di Lubitsch, visto in lingua originale con i sottotitoli, è perfetto per com’è bilanciato il contrasto tra bianco e nero, per alcune trovate geniali di regia, le inquadrature con il cambio di costumi della vedova, il ballo del can can da Maxim's assolutamente strepitoso, i numeri notevoli di ampio respiro che si vedono nelle scene finali con giri di valzer da sogno perfettamente coreografati.
Il film del '52 con Lana Turner, lo vidi la prima volta durante la mia infanzia, e dopo tanto tempo mi ha fatto piacere riscoprirlo; la storia della ricca vedova Radek e del conte Danilo è carica di tutto il romanticismo tipico del genere della Hollywood di quegli anni, ma è frizzante, esuberante e divertente quanto basta a non far annoiare, tra equivoci, canzoni da operetta che accompagnano e arricchiscono la trama, semplice e lineare, dove alla fine, per quanto scontato e prevedibile, è l'amore a trionfare.
Il piccolo Stato immaginario di Moschovia rischia la bancarotta e la guerra con l'Austria se non paga i suoi debiti, ma i conti sono in rosso, e si prevede il disastro. Solo un matrimonio d'interesse tra la ricca vedova Radek, e il conte Danilo, capitano dell'esercito, amante delle donne e gran seduttore dal fascino quasi irresistibile per il gentil sesso, può salvare una difficile situazione.
Invitata dal Re, la bella vedova arriva a Moschovia, e scoperto il piano di conquista per farla cadere tra le braccia di Danilo, decide di fuggire a Parigi accompagnata dalla sua dama di compagnia.
Questa seconda figura femminile che in varie scene fa da spalla alla Turner, non è presente nel film di Lubitsch, - ma è curioso che l'attrice che interpreta la dama di compagnia, Una Merkel compaia anche nel film del '34 dove interpreta la regina consorte del re di Moschovia - qui permetterà di tracciare una situazione equivoca un poco differente, che ottiene il suo scopo, quando per un malinteso Danilo corteggia la dama di compagnia scambiandola per la ricca vedova, e nascerà la sua avversione per una donna che deve sposare per patriottismo, ma non per amore.
Il conte e la bella vedova sono destinati ad incontrarsi e innamorarsi, e succederà a Parigi, da Maxim's, locale equivoco e alla moda dove vanno i signori a divertirsi intrattenuti da cantanti e ballerine di rivista, e lo stesso Danilo è personaggio noto all’ambiente; benvoluto da tutte le ragazze, lo accolgono in allegria, in un clima festoso con le tipiche canzoni dell’operetta.
La scena tra Fifi, il nome fittizio della ricca signora che finge di essere una ballerina, e Danilo, è carica di tutto il fascino sensuale dei due attori, mentre danzano insieme nella stanza dove i due protagonisti si ritrovano soli, in una situazione che potrebbe essere scabrosa.
La Turner soprattutto sfoggia mise ricche ed elegantissime, biancheria intrigante e scollature che esaltano la sua bellezza, mentre Fernando Lamas, bello e aitante fa la sua degna figura.
Il film si avvia naturalmente verso la sua conclusione, con lo svelamento finale durante il sontuoso ballo all’ambasciata, mentre si scioglie qualche vaga tensione nata tra i personaggi, mantenuta sempre sul filo della leggerezza, allo scopo di far sorridere.
È proprio nel finale che si gioca la differenza più netta col il film di Lubitsch, sviluppato con maggior ironia dal regista tedesco.
Nonostante alcune sottigliezze e la raffinatezza (anche di dialoghi) che mancano in questo remake del ’52, che lo mette un paio di gradini sotto a quello del ’34, il film merita, scorre con piacevolezza e si lascia guardare volentieri.
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