Siamo nel primo autunno del 1922 e un ragazzino rimane ucciso negli scontri fra squadristi e 'rossi'. Era il fratello minore di un convinto fascista; a quel punto nel paesino l'adesione massiccia alla marcia su Roma sarà inevitabile.
Vecchia guardia è un film esplicitamente di propaganda fascista e come tale va preso ancora oggi, anzi: se possibile ora va visto con occhi più accondiscendenti, pietosi nei confronti degli autori e degli interpreti coinvolti in un simile pastrocchio ideologico senza capo, nè coda. Si tratta infatti di una pellicola orientata all'inneggiamento del regime ducesco, che tritura la realtà sociale e politica del tempo per restituircela imbottita del dogma mussoliniano, di quel Dio, patria e famiglia (o di quel Credere, obbedire, combattere) che all'epoca era qualcosa di più di una moda: era l'imperativo, l'unica via per continuare a lavorare - e a esistere - senza troppi problemi. Chiaro, il fatto che dietro la macchina da presa ci sia Alessandro Blasetti, fervente ammiratore del Duce, non costituisce alcuna sorpresa; Vecchia guardia rimane però uno dei suoi titoli meno riusciti a prescindere dal fattore politico: è un film di scarsissima consistenza, palesemente farcito di retorica e svuotato di concretezza, nonostante il buon dispiego di firme per il copione (da un'idea di Giuseppe Zucca e Livio Apolloni, con una sceneggiatura di Blasetti, Leo Bomba e Guido Albertini). Nel cast troviamo fra gli altri Mino Doro, Gianfranco Giachetti, Maria Puccini, Barbara Monis e Ugo Ceseri; il già citato Bomba si occupa delle scenografie insieme a Primo Zeglio, le musiche sono di Umberto Mancini e la fotografia di Otello Martelli. 3/10.
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