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Il Vangelo secondo Matteo

Regia di Pier Paolo Pasolini vedi scheda film

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La recensione su Il Vangelo secondo Matteo

di vermeverde
10 stelle

Il Vangelo secondo Matteo di Pasolini è uno di quei rari capolavori che, fin da quando lo vidi a metà degli anni Sessanta in una rassegna organizzata dai salesiani in un cinema parrocchiale di Roma, oltre a suscitare ammirazione colpiscono nel profondo ad ogni visione per l’attualità dei temi esposti con disarmante semplicità e forza. Da sempre ho apprezzato moltissimo la totale mancanza di enfasi e retorica, l’anticonformismo e l’assoluto sincero rispetto del testo evangelico, anche nella ricerca iconografica: scevro di effetti spettacolari e di patetismi, espone con severa semplicità che ne amplifica la potenza rivelando la portata rivoluzionaria, non solo per quei tempi, delle parole di Gesù, così come ci sono state tramandate: infatti, va tenuto presente che i Vangeli riferiscono e codificano una tradizione orale, non l’esperienza diretta degli autori.

In merito agli aspetti formali, mi associo ai tanti che lodano lo splendido bianconero di Tonino Delli Colli e le musiche, in parte popolari in parte classiche ma sempre appropriate; il racconto è scandito con efficaci stacchi di montaggio da campi lunghi e lunghissimi ai primi piani. La messinscena e le ambientazioni sono volutamente severe e contribuiscono con efficace coerenza ad esprimere la visione del regista, tesa soprattutto a enucleare l’essenza del messaggio evangelico attraverso le parole di Gesù, affilate come lame che affondano nell’egoismo, nella cupidigia, nell’ipocrisia degli uomini e che elevano l’amore verso il prossimo e l’umiltà come uniche speranze di salvezza: una lode particolare va alla splendida lettura di Enrico Maria Salerno.

Nel film non recitano attori professionisti, ma gente del popolo dei luoghi in cui è stato girato il film e letterati amici del regista; la scelta deriva forse dall’estetica del neorealismo (tuttavia anche Bresson usava attori sconosciuti per non distrarre dal significato della pellicola), che a me sembra anche una rivisitazione dell’uso delle maschere nel teatro classico greco/romano (e del teatro N? giapponese), in cui era evidenziato il personaggio e non chi lo interpretava: chi recita, infatti, qui è caratterizzato fortemente dall’aspetto fisico e fisionomico. La figura di Gesù (nei Vangeli non c’è alcun cenno al suo aspetto fisico), rifiuta la tradizione instaurata nel Medioevo di un Cristo biondo e con la barba è interpretata in modo convincente dal giovane studente spagnolo Enrique Irazoqui (di capelli neri e con barba appena accennata), quasi certamente più vicina alla realtà di quanto non sia la tradizione consolidata.

La fedeltà iconologica è evidente anche nella rappresentazione dell’angelo: Pasolini è filologicamente rispettoso dei testi biblici nei quali non vi è mai alcun accenno ad angeli alati che, anzi, sarebbero in palese contraddizione con alcuni passi (la storia di Lot nella Genesi, di Manoe, padre di Sansone, nei Giudici, di Tobia nelle Cronache): questo dimostra come il regista abbia cercato l’aderenza alla lettera del testo evangelico , con un acuto sguardo anticonvenzionale, per andare alle radici del messaggio cristiano.

In conclusione, ritengo questo film un capolavoro assoluto della storia del cinema e rimane sempre forte il rammarico per la prematura e violenta fine di Pasolini.

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