Regia di Pier Paolo Pasolini vedi scheda film
Ritengo i primi quattro film di Pasolini (o tre e mezzo: Accattone, Mamma Roma, La ricotta e Il Vangelo secondo Matteo) i suoi capolavori e capolavori del cinema in assoluto. Eppure, ricordo che anni fa, al liceo, parteggiai per il Gesù di Nazareth di Zeffirelli, nei confronti del film di Pasolini. All'epoca, da credente cattolico, consideravo il Gesù di Zeffirelli più equilibrato e rispondente al personaggio descritto dai quattro Vangeli canonici. Il Cristo di Pasolini, invece, mi sembrava esagitato e troppo "politico". Su quest'ultimo punto, in effetti, lo stesso Pasolini confessò che nello scrivere il personaggio aveva tenuto presente la figura di Lenin. Ovviamente, con il senno di oggi, direi che non c'è niente di male nel fare di Gesù un agitatore politico, poiché anche se non provocò una rivoluzione nell'immediato, è comunque indubbio che la sua predicazione sia stata rivoluzionaria. Né, sempre con il senno di oggi, parteggerei per il Gesù raccontato da Zeffirelli, che è tutto confinato in un santino, dipinto secondo i canoni dell'iconografia classica. Quello di Pasolini è invece un Cristo tutto parola, che a momenti investe, in maniera veemente, gli interlocutori e gli ascoltatori di insegnamenti, detti e parabole. Questo Gesù, che ci parla ancora oggi con la voce di Enrico Maria Salerno, si rivolge a noi (a noi del 1964 e a noi del 2013) con parole chiare, che danno speranza ai poveri di spirito e invitano i farisei e gli scribi del nostro tempo a convertirsi, cioè a cambiare mentalità (e anche a credere in Lui).
Pasolini dà spazio enorme alle parole di Gesù, addensandole in alcuni momenti nei quali il Cristo sintetizza la propria predicazione (così come aveva fatto lo stesso evangelista, raggruppando i detti del Maestro in cinque sezioni tematiche), rivolgendosi essenzialmente agli Ebrei, ai quali voleva dimostrare che Egli era veramente il Messia predetto dall'Antico Testamento. Forse anche per questa caratteristica, all'epoca dell'uscita del film, qualcuno (per esempio Giovanni Grazzini) ne lamentò la frammentarietà, fattore che a me sembra comunque accomunare il film ai Vangeli che - sarà per il fatto che usavo sentirne brani diversi la domenica alla messa - mi hanno sempre dato l'impressione di una narrazione intrinsecamente frammentaria, finalizzata ad uno scopo, ma tutt'altro che cronologicamente lineare: nella vita di Gesù, seguendo i Vangeli canonici, non sono infrequenti periodi di cui si sa poco o niente; per di più (sempre se la memoria non mi inganna), molti episodi evangelici sono conclusi e poi la narrazione riprende con locuzioni del tipo «in quei giorni...» o «a quel tempo...».
Alla fine, Pasolini decide di mostrare da lontano il processo a Gesù davanti al sinedrio e, pur mostrando una passione e crocifissione altamente emozionanti, di soprassedere riguardo ai particolari più cruenti. Anche per questo, continuo ad amare lo stupendo film in bianco e nero (ispirato ad Ejzenstejn e Dreyer) del nostro Autore, mentre non ho per niente apprezzato la ricostruzione, probabilmente filologica, ma sicuramente anche splatter, operata qualche anno fa da Mel Gibson.
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