Regia di Claudio Caligari vedi scheda film
Ostia, 1995: Vittorio e Cesare, amici d’infanzia, si guadagnano da vivere spacciando droga e facendo altri affarucci sporchi; quando Vittorio comincia ad avere allucinazioni da stupefacenti, però, capisce che è ora di finirla e si mette a lavorare in modo pulito; Cesare prova a seguirlo, ma non ci riesce e fa una brutta fine. Il film resta prigioniero del proprio immaginario pasoliniano: Vittorio e Cesare non sono altro che le due anime di Accattone, quella decisa a redimersi e quella incapace di farlo. Il sottobosco umano fatto di prostitute, papponi e cravattari lo abbiamo già visto e stravisto; inedita, semmai, è la straordinaria solerzia dei poliziotti, che ogni volta accorrono pochi secondi dopo essere stati chiamati. L’aggiornamento ai tempi è blando e poco incisivo, limitandosi a una lunga serie di scene con gente che sniffa cocaina (o altre sostanze). Anche le donne ricalcano schemi precostituiti, rappresentando una possibilità di salvezza per i rispettivi uomini, ma in modo diverso: Linda è più incazzosa, sa imporsi sulle incertezze di Vittorio; Viviana è più debole, si lascia trascinare dalle imprese di Cesare. In mezzo a tanto abbrutimento spiccano i personaggi dei bambini, innocenti per definizione: la nipote di Cesare, destinata a una morte precoce (l’ammonizione del titolo, scritta su un orsacchiotto di peluche appoggiato alla sua tomba, è come se fosse pronunciata da lei), e suo figlio postumo, a cui viene giustamente dedicata l’ultima inquadratura.
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