Regia di Claudio Caligari vedi scheda film
La solidarietà e il riscatto morale costituiscono la sintesi e il rimedio ad un’ineluttabilità di fondo della condizione umana.
Nel secolo della disoccupazione “Non essere cattivo” rende quanto mai vero il detto: “Il lavoro nobilita l’uomo”. E mi verrebbe da aggiungere quanto piuttosto sia l’uomo ad uscirne nobilitato da quel magico filtro che è il cinema, anche quando viene ripreso nella sua veste più sporca, cupa e irremissibile. Si, perché Cesare e Vittorio, i protagonisti di questa pellicola, sono due giovani ragazzi sulla soglia dell’età adulta che la strada ha reso prematuramente uomini ma soprattutto fratelli. Cesare, impulsivo, riottoso, accecato dalla droga e dal denaro; Vittorio manifesta sin da subito tratti più moderati e riflessivi. La loro è una storia di sopravvivenza incorniciata nella periferia romana di Ostia dove l’ingannevole senso d’appagamento della droga costituisce il sale delle loro tristi esistenze che si realizzano nell’adrenalina della delinquenza, della cocaina e nella sfrenatezza di un effimero guadagno. Sull’eredità pasoliniana il regista Caligari firma la storia di “una vita violenta” ripresa nel suo verismo più nitido e totale. La solidarietà e il riscatto morale costituiscono la sintesi e il rimedio ad un’ineluttabilità di fondo della condizione umana che ne fanno il trait d’union del racconto. Sono tutte sue il merito e la capacità di dare espressione addirittura allo sguardo di un peluche nelle sembianze di un orsacchiotto che, abbrutito dal furto per mezzo del quale Cesare se ne appropria in un bar appare nobilitarsi fra le braccia della rachitica ed innocente nipotina Debora, costretta anche lei al fatale destino da un ambiente familiare che non può fornirle le cure necessarie. Ma è il personaggio di Vittorio sotto cui si cela la figura dell’attore Alessandro Borghi che riesce a commuovere e commuoversi per la grinta e quella forza liberatrice che imprime ad ogni colpo di piccone che assurge a strumento di catarsi morale; la sua perseveranza e la sua onesta condotta concedono lui l’opportunità di ritrovare un equilibrio attraverso la tortuosa strada della rettitudine fino alla ricompensa della costruzione di un solido nucleo familiare in compagnia di Linda e Tommasino, seppur fra mille difficoltà. Ed è proprio grazie a Linda, causa ed effetto del capovolgimento di sensi di Vittorio, che egli riesce a sostituire l’adrenalina della droga con quella più onesta dell’amore e del lavoro ricevendone dignità e redenzione. Quella necessità etica del lavoro che non ritroviamo in Cesare, interpretato da un superbo Luca Marinelli ormai entrato a far parte, e a buon diritto, del pantheon del nostro cinema, che è costretto a pagare il fio per non aver approfittato del treno della redenzione offertogli da Viviana (ancora una volta da una donna) e dall’amico Vittorio e questa volta, da vinto, annega nelle profondità di quel mondo che gli aveva fino ad ora permesso di rimanere a galla. Una morte necessaria finalizzata alla catarsi dello spettatore che si redime nella più aristotelica delle concezioni. Ma nonostante tutto il film si conclude con un sorriso, mesto; inevitabilmente mesto. La speranza di un’esistenza migliore è riposta nel frutto di una notte d’amore o di passione che dir si voglia: perché Viviana in fondo l’ha sempre amato il suo uomo, e continuerà a farlo nelle rinnovate sembianze di un piccolissimo Cesare su cui, la fotografia dai toni candidi e solari ci rivela, non ricadrà alcuna colpa del padre. Perché la vita sa come ricompensarti.
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