Regia di Claudio Caligari vedi scheda film
Una nostalgia pasoliniana che resta purtroppo ancorata all'oggi, nello stile televisivo e nell'assenza di coscienza storica. Il preteso ritratto di una generazione perduta è un fermo immagine tagliato, che esclude l'orizzonte ed azzera la prospettiva.
Film smarrito. Perso in un qualche luogo indefinito, a metà strada fra realismo ed allucinazione, laddove la caricatura è un espediente di sicuro effetto, buono per darsi un tono, in mancanza d’altro. I giovinastri di borgata hanno fatto il loro tempo, eppure non mollano. Claudio Caligari li vuole ancora vivi e gagliardi, ruspanti e plasticamente autentici, pur se in preda ad ebbrezze chimiche da discoteca, intrappolati in una terra di nessuno, in mezzo al crimine che non paga e ai sogni romantici che non decollano. La loro decadenza è una questione di maniera: un fenomeno stilistico inevitabile quando, come in questo caso, la rievocazione si sposa con la gaia patinatura televisiva, di stampo quasi cabarettistico, quella che studiatamente spara sciatteria e stupidaggini, fra i giochi di colori sgargianti, sotto i riflessi metallici delle luci al neon. Il tramonto di una generazione si presenta qui come un’ipotesi estetica che abbraccia appassionatamente ogni inquadratura, le singole battute, ma lascia che la storia rimanga sottintesa, bistrattata, una traccia appena percettibile, strascicata e negletta, trascurata da una malavoglia narrativa che non è più poesia d’ambiente, né testimonianza di un’epoca. L’idea che tutto sia maledettamente finito, che il degrado abbia deposto la sua nobile veste romanzesca, sembra intrisa di amore sincero, ma la sua espressione permane fredda, frammentaria, incapace di produrre suggestioni unitarie e durature. Ogni personaggio è, semplicemente, protagonista del momento, della situazione contingente, della visione passeggera, ma non riesce a trascinare dietro di sé, lungo il percorso casualmente accidentato, il quadro complessivo del suo mondo, del suo essere, che così risulta ridotto ad una malferma successione di popolaresche improvvisazioni. La regia - è vero - accompagna le sue creature con paterna premura, prendendole affettuosamente per mano, passo dopo passo, da una scena all’altra, ma si dimentica di insegnare loro a camminare. Pasolini è lontano mille miglia. Persino la sua impronta rimane desolatamente estranea a questo deserto di valori, morali e cinematografici, in cui, nonostante le numerose sventure, il dolore non entra: se ne tiene decorosamente al di fuori, forse per colpa della totale assenza di pensiero, e manda, in sua vece, l’icona pop di un pathos un po’ troppo autoreferenziale. La natura umana, con la sua mutevole complessità, appare completamente scollata dalla rappresentazione di esistenze del tutto simili, riconducibili allo stesso schema teorico, e fatte di un rabbioso niente, piatto e refrattario alla profondità derivante dal divenire, dall’interazione con l’ambiente, dal confronto con l’altro da sé. La crisi di identità si ritrova orfana della sua causa naturale, del suo termine di confronto, di quella controparte costitutiva che è il modello irraggiungibile, l’alternativa che si rivela, nel contempo, fonte di stimoli e di frustrazione. L’universo di questo film è invece una scatola chiusa, abitata da individui prodotti in serie, i quali, prima ancora che privi di futuro, si direbbero privi di un passato da cui trarre i motivi del proprio disadattamento rispetto al presente. Nemmeno Pasolini saprebbe spiegare le origini del loro male. Ovvero della straziante, sconfinata inadeguatezza di questi esseri sconosciuti, venuti chissà da dove, e forse inventati ad hoc, solo per ricordarci che i veri ragazzi di vita, purtroppo, non esistono più.
Non essere cattivo (2015): Luca Marinelli
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Commento autorevole sull'inconsistenza del nostro presente cinematografico (culturale tout court?) dove non basta il soggetto e le studiate moine della messa in scena per dire qualcosa di cui si sa poco o nulla e che, forse, non esiste nemmeno. Segno del declino non solo di autori e produttori, ma soprattutto di un pubblico e di una critica (basta leggere quella ufficiale come quella meno pretenziosa condivisa da molti utenti di questo sito) che premia per partito preso e che molto probabilmente ha smarrito il coraggio delle proprie idee.
Grazie dell'appoggio morale, maurizio73. Non è mai facile scrivere stroncature controcorrente. In questo caso, poi, si è trattato di contrastare un vero e proprio fiume in piena.
Passavo di qui, cercando, tra la altre cose, conferma ad un'impressione di vuoto e di fals, insomma di delusione, che avevo avuto, quando - con entusiasmo ed altrettante aspettative - mi ero accinta alla visione di questo film. Ti faccio, prima di tutto, i complimenti per lo stile e la profondità delle notazioni; poi mi compiaccio un po' anche con me stessa: non sono la sola 'fuori dal coro' del 'novello Pasolini'. E dddaje!!
Grazie del commento. Siamo forse una minoranza. Ma, evidentemente, non del tutto "silenziosa".
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