Regia di Claudio Caligari vedi scheda film
Appena tre film nell’arco di un’esistenza che se n’è andata poco prima di assaporare le luci della ribalta offertale dalla vetrina della 72 edizione del festival di Venezia, dove "Non essere cattivo" è stato invitato a partecipare, seppure al di fuori del concorso ufficiale; a differenza dei lavori precedenti, sottratti al grande pubblico da una distribuzione ostile all'autarchia del regista piemontese. Che, nonostante una visibilità a dir poco limitata, è riuscito quasi per miracolo e grazie alla stima di pochi colleghi - uno dei quali, Valerio Mastandrea si è molto speso per produrre e finire di montare il film in questione - a ritagliarsi un posto di rilievo tra i massimi cantori di una marginalità che ha trovato la sua universalità nel milieu della periferia romana e nel caso del suo nuovo film, nella Ostia del 1995, che offre la scena alla pericolosa amicizia di Vittorio e Cesare, ragazzi di vita che sbarcano il lunario con espedienti legati al mondo del malaffare e al commercio della droga che gli permette di abitare un esistenza a perdere, diluita dalla sballo delle notti brave passate in discoteca e resa precaria da un privato su cui non si può contare: come sa bene Cesare (un grande Luca Marinelli), costretto a fare i conti con la malattia della nipotina, di cui cerca di prendersi cura nella tregua della sue giornate; in un vortice d’avvenimenti sempre sul punto di trasformarsi in tragedia. fino a quando il destino offre ai due amici l'opportunità di cambiare vita attraverso l’incontro con Linda e Viviana, figure femminili che prefigurarano orizzonti di inaspettata felicità.
Girato con energia e vitalità sorprendenti, se si pensa alle condizioni di salute del regista, deceduto poco dopo la fine delle riprese, "Non essere cattivo", il terzo film di una filmografia più che rareffatta ("Amore Tossico" del 1983 e "L'odore della notte" realizzato cinque anni più tardi completano l'elenco dei titoli del regista) riesce a fare delle sue imperfezioni un punto di forza, quando dovendo mettere in scena le esistenze "difettose" dei suoi personaggi, non si preoccupa di ritrarle in maniera coerente e lineare, facendo attenzione, per esempio alla coerenza di alcuni passaggi che, in certi casi, risultano forzati e un poco irrisolti, come quello relativo all'inizio della relazione tra Vittorio e Linda, che il film ci mostra a cose fatte e senza metterlo in relazione con i precedenti impegni sentimentali; oppure nel breve inserto focalizzato sull’allestimento di una sorta di bisca clandestina che Cesare sembra dapprima gestire in proprio e che subito dopo svanisce nel nulla. Perchè le piccole incongruenze narrative costituiscono - non sappiamo quanto consapevolmente - il controaltare visivo di una materia formata da elementi di segno opposto (bene e male, gioie e dolori, salvezza e condanna) che aderiscono senza reticenze alle contraddizioni dei personaggi. Ma non solo, perchè è proprio il connubio di ferocia e tenerezza che appartiene alle biografie di Cesare e Vittorio, a provocare l’afflato poetico di cui il cinema di Caligari è intriso, e che permette a “Non essere cattivo” di sublimare almeno in parte la disperazione che mette in scena. Senza dimenticare che pur costruendo il film sulla potenza evocativa dei personaggi e sulla folgorante interpretazione degli attori che li impersonano (vale la pena citare Alessandro Borghi nella parte di Vittorio e Roberta Mattei, Silvia D’Amico in quelle di Linda e Viviana), Caligari rivela la sua mano nella risultanza degli ambienti che intervengono per completare il corredo esistenziale dei personaggi, diventando estensione dei loro stessi sentimenti. Come succede verso la fine del film, quando la telecamera, dopo averne ignorato la presenza, si volge improvvisamente verso il mare, a sottolineare la speranza che trapela dalle immagini di serenità famigliare che coinvolgono Vittorio e la sua compagna; la stessa alla quale Cesare deve rinunciare, come testimonia la gigantografia della spiaggia tropicale a cui lo stesso quasi esanime volge definitivamente le spalle nella sequenza della resa dei conti, in cui Caligari cita esplicitamente “Carlito’s Way” di Brian De Palma. E ancora sul piano dei contenuti, con la decisione di collocare la storia a cavallo degli anni 90, con la distanza cronologica dalle vicende contemporanee a fare da grimaldello a una condizione di crisi che per l’umanità raccontata da Claudio Caligari non è mai stata una questione di congiunture economiche bensì di categorie sociali
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta