Regia di Claudio Caligari vedi scheda film
72° FESTIVAL DI VENEZIA – FUORI CONCORSO
Trentadue anni dopo l’esordio nella fiction, e diciassette dopo la seconda incursione nel mondo della malavita romana, con l’ultimo (purtroppo davvero l’ultimo, essendo il regista scomparso poco dopo il temine del montaggio della pellicola), l’amore è ancora “tossico” e la criminalità odora ancora del suo inevitabile oscuro istinto di conservazione, che spinge gli ultimi, i diseredati, coloro che si affannano per sopravvivere, a preferire quest’ultimo ad una vita di fatiche e magri guadagni.
Siamo a metà degli anni ’90, nel litorale popolare e degradato di Ostia, dove bambine ammalate riescono a trovare la morte per mancanza di posti letto in ospedale, dove coppie senza casa riescono ad occupare vecchi ruderi abbandonati per costituirci il proprio focolare domestico; dove ancora molti ragazzi della borgata preferiscono sostare tutto il giorno dinanzi al bar per cercare di introdursi in qualche losca avventura di malavita, piuttosto che mettersi in coda dinanzi ai cantieri nei pressi di un quartiere popolare tutto scheletri di edifici in via di costruzione.
Vittorio e Cesare appartengono a questi ultimi: il primo è un folle senza via di recupero, pur se con sprazzi di umanità ed una simpatica indolenza addosso per cui non ci si riesce proprio a volergli male; il secondo si fa assalire dagli scrupoli per la famiglia che ha intenzione di creare convivendo con la sua donna ed il figlio adolescente di lei avuto da un altro compagno.
Quando dalla cocaina si passa al trasporto e allo spaccio di eroina, i giochi si fanno sin troppo seri, la situazione precipita laddove cominciavamo davvero ad affezionarci ai nostri due.
E la sventura, l’ironia cattiva e senza cuore, la tragedia senza possibilità di fuga, si avventano sempre sulla classe sociale più derelitta e devastata.
NON ESSERE CATTIVO, non è solo l’invito bonario proveniente da un orsetto di peluche rubato in un bar e destinato ad una sfortunata bambina per suggellare gli ultimi istanti di una agonia ingiusta e fuori luogo. E’ pure l’invettiva puerile ma concreta che nasce da un buon proposito di cambiare vita ed atteggiamenti: facile a dirsi, praticamente impossibile da concretizzarsi, soprattutto quando le maglie tentacolari del malaffare e le false promesse di facile ricchezza che esso si porta dietro, ti imprigionano come in una ragnatela senza via di scampo.
Caligari filma una periferia da incubo con i colori seducenti di qualcosa di bello ma pericoloso: la sceneggiatura del suo film ci restituisce due personaggi meravigliosi e quasi epici, che i due bravi attori, Luca Marinelli (davvero strepitoso, come sempre del resto…vorremmo vederlo molto di più!!!) ed Alessandro Borghi rendono alla perfezione: i loro occhi sgranati dagli eccessi della droga, disegnano volti straniati e perennemente perplessi o immedesimati in una espressione di devastata meraviglia. Il film verso il suo epilogo, dopo la tragedia verghiana che frena l’impeto senza sostai del più folle tra i due sventurati, tenta la carta del finale positivo, con l’attenzione verso la famiglia come unica possibilità di via per la redenzione; in questo punto il film cede un po’ della sua potenza e perde parte della sua lucidità, ma è solo una scalfittura di una pellicola potente che chiude molto bene, anche se purtroppo definitivamente, una trilogia sulla “delinquenza tossica di periferia” tipica di fine millennio.
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