Regia di Daniel Alfredson vedi scheda film
Seconda collaborazione tra il regista svedese Daniel Alfredson e la star gallese Anthony Hopkins, nello stesso anno: dopo "Il caso Freddy Heineken", sul vero rapimento del boss della birra, ecco un thriller tratto da un romanzo, di Castle Freeman, jr., in cui una giovane donna, che torna in un paesino del profondo Nord statunitense, comincia ad essere perseguitata da un ex-poliziotto, divenuto malavitoso, di cui tutti hanno terrore, nella zona. L'unica speranza è un anziano boscaiolo, che ha perduto la figlia per overdose, ed un giovane con qualche problema mentale, che però saranno gli unici a fornirle aiuto. Al di là dell'incomprensibile titolo italiano, che pone un altro titolo in inglese, dal significato abbastanza vago ("Vieni con me"), al posto dell'originale, che altro non è che il cognome del cattivo, il film di Alfredson è un thriller che può parere un telefilm, anche perchè, lungo più o meno 89 minuti, arriva, in pratica, al climax della vicenda una buona decina di minuti prima dei titoli di coda, mossa piuttosto balzana, nel genere. Ambientato in un'America innevata e molto laterale, poteva risultare un lavoro interessante sugli stalker, ma spreca gran parte della sua attrattiva, in un racconto fin troppo lineare, e con poche buone occasioni per gli interpreti: se la Stiles merita tutto sommato una rivalutazione, Hopkins, sotto questo regista, non ha dato il meglio di sè, meglio risulta il giovane Alexander Ludwig nel ruolo del giovane forte di braccio, quanto debole di mente, mentre Liotta, nel ruolo del "villain" gioca tutto sopra le righe, non una delle prove più memorabili dell'attore di "Quei bravi ragazzi". Di solito, i film così, vengono bollati come "senza pretese".
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