Nell’immaginario cinefilo la provincia americana incarna da tempo quel concetto di frontiera che aveva trovato la sua massima possibilità di rappresentazione nel cinema western. Fatte salve le differenze dovute al cambiamento del paesaggio umano e geografico il territorio extraurbano è diventato un luogo dell’anima in cui sogni e incubi vanno a braccetto e in cui la legge e le regole del vivere comune sono soltanto una delle opzioni possibili. Fedele a questi principi lo svedese Daniel Alfredson non si è fatto sfuggire l’opportunità di maneggiare un simile repertorio e per il suo primo film a stelle strisce ha scelto di dirigere un lungometraggio come “Go with Me”che fa della sottile demarcazione tra bene e male e dell’opportunità di scegliere indiscriminatamente tra l’uno o l’altro le fondamenta di una storia criminale che non conosce mezze misure. Questo perché tanto la determinazione con cui il personaggio di Anthony Hopkins decide di aiutare la ragazza minacciata dall’ex sceriffo del paese diventato un pericoloso criminale, quanto la tendenza persecutoria messa in mostra dal crudele stalker (Blackway) rappresentano nella loro mancanza di limiti due facce della stessa medaglia.
Se lo scontro è inevitabile e la morte appare l’unica rimedio in grado di dirimere la vicenda è vero che Alfredson impiega oltre un’ora prima per arrivare al dunque presentandoci una resa dei conti che “Go with Me” procrastina al solo scopo di allungare il brodo con un improbabile on the road in cui la ragazza e i suoi compagni d’avventura (il personaggio di Hopkins e accompagnato da un ragazzo un po' ritardato e segretamente innamorato della protagonista) inseguono senza costrutto, e aggiungiamo noi senza un minimo di plausibilità narrativa, il crudele avversario. Ansioso di calarsi nel grande Paese Alfredson lo racconta dimenticandosi di costruire un filo logico che tenga insieme archetipi e stati d’animo. Vincitori e vinti, violenza e redenzione e soprattutto l’anima nera del sogno americano si riflettono nella desolazione dell’elemento naturale, nei colori lividi e nella luce cupa della fotografia ma non trovano corrispondenza nello sviluppo della trama che per il regista rimane un semplice pretesto.
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