Regia di Athina Rachel Tsangari vedi scheda film
ONCE WERE ARISTOI - Nel mare che fu di filosofi, Dei, miti ed eroi si muove uno yacht che ospita sei greci dei giorni nostri. Sono cinque professionisti di successo più il fratello di uno di loro a metà tra il sempliciotto e "l'idiot savant". Terminate le immersioni i nostri decidono di stabilire definitivamente chi sia il migliore "in senso generale" con un gioco chiamato Chevalier, che consta di una serie di competizioni ma anche del giudizio incessante di ciascun membro su qualsivoglia elemento della vita e dell'aspetto altrui (e non ci si fa mancare niente, neanche la gara a chi ce l'ha più lungo). Nello spazio angusto che condividono i sei partecipanti gesti e parole diventano enormi, le insicurezze vengono a galla e le identità di tutti si sfaldano a vista d'occhio.
Inaspettatamente è una commedia-commedia. E come commedia spesso funziona anche bene. Ma se si cercano le provocazioni brutali, la causticità apocalittica e i riverberi ad ampio raggio di quella che qualcuno chiama la "Greek Weird Wave", allora si rimarrà delusi.
Premessa e ambientazione sono tutto. Forza, schiavitù e dannazione del film. In questo yacht e da questo gioco non c'è scampo, nè possibilità di fuga o deviazione. Nasce come demolizione dell'uomo, della sua competitività e del suo orgoglio e finisce a demolizione e ridicolizzazione concluse. Non proprio un gioco al massacro, non c'è la giusta crudeltà. La forza che si poteva percepire inizialmente data dai peggiori istinti che emergono per via della competizione e del giudicare liberamente gli altri si stempera nella comicità pura, in percorsi inspiegabilmente tutti uguali, tutti ugualmente diretti al dissolvimento, lasciati andare in quell'unica direzione come se la regia non ne avesse il controllo. Ed è un peccato. Perché in gran parte, oltre alla comicità, funziona anche il gioco psicologico, l'addentrarsi nelle dinamiche del confronto a carte scoperte con l'altro. Le diverse personalità sono delineate con chiarezza e si accostano l'una all'altra creando a volte un'atmosfera incerta e sospesa in cui anche la chiacchierata più informale sulla ricetta di un'insalata risulta un'indecifrabile combinazione di manifestazioni vere e studiate, del mettere in mostra le proprie competenze o anche del farsi vedere a proprio agio davanti a ciò che non si conosce. Allo stesso modo anche i gesti più umani, le rassicurazioni di amicizia e la sportività dimostrate durante le gare si tingono per buona parte dell'opera di questo apprezzabile dubbio. Poi però, come dicevo , si sceglie la ridicolizzazione completa e il dubbio sparisce, ma sparisce con lui anche la forza dei personaggi e del loro percorso, in buona sostanza lasciato andare alla deriva.
Risate comunque se ne fanno. La comicità si giova sia della buona definizione dei personaggi che dell'ottimo tempismo dei dialoghi, oltre che di un gruppo affiatato. Per quanto le caratteristiche siano quelle di una commedia di matrice europea c'è da dire che non si disdegnano elementi di comicità più fisica e leggera (spesso a bersaglio) che sembrano più tipici della commedia americana odierna. La cosa è evidente soprattutto nelle scene che coinvolgono l'outsider del gruppo, il suddetto "sempliciotto/idiot savant" (qui sopra in maglietta azzurra) che ricorda forse un po' troppo anche esteticamente il personaggio di Galifianakis in UNA NOTTE DA LEONI (...per quanto strano possa sembrare ritrovarlo in un film della Tsangari).
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