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Il drago invisibile

Regia di David Lowery vedi scheda film

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La recensione su Il drago invisibile

di nickoftime
7 stelle

Negli anni 60 la Walt Disney, accanto alle produzioni più classiche del proprio repertorio, intensificò la realizzazione dei cosiddetti live action, ovvero di quei film che esulavano dal ricorso all'animazione e alla tecnica mista presentando storie e personaggi filmati in un contesto di realtà uguale a quello dei titoli delle altre major hollywoodiane. Si trattava di commedie di medio e basso costo, solitamente interpretate da attori televisivi e di seconda fascia che cercavano di fare la differenza con idee originali e protagonisti pittoreschi sul tipo di quelli narrati in "Nanù il figlio della giungla", "F.B.I. - Operazione gatto", "Tre bassotti per un danese", "Un maggiolino tutto matto" e molti altri. Nato come costola dei progetti maggiori, nel corso degli anni e soprattutto a partire dagli anni 80 ("Popeye" di Robert Altman e "Tron" di Steven Lisberger), il filone in termini di clamore mediatico e di investimenti finanziari ha scalato posizioni nell'ambito della casa madre arrivando ai nostri giorni con saghe come quella relativa ai Pirati dei Caraibi,  in grado di primeggiare nell'ambito dei grandi blockbuster contemporanei. In questo senso, "Il drago invisibile" rappresenta in parte un ritorno al passato sia per l'ammontare del budget impiegato, che pare si attesti sui 65 milioni di dollari, sia per la dimensione della storia che, nonostante la presenza dell'elemento soprannaturale rappresentato dal gigantesco rettile, si svolge senza la grandeur tecnologica e lo sfarzo visuale offerto dalle avventure di Jack Sparrow. Questo, pur potendo annoverare un attore del calibro di Robert Redford, al suo esordio in questo tipo di storie e qui - nel ruolo del grande vecchio - incaricato di trasmettere la sua credibilità di interprete a quella della vicenda raccontata nel film, e di Bryce Dallas Howard, reduce dal trionfo ottenuto in "Jurassic World" e dal personaggio di Claire Dearing destinato per il soggetto del film di Colin Trevorrow a fare eco a quello della dolce guardia forestale che si prenderà cura di Pete (Oakes Fegley), il bambino al centro della vicenda, e in qualche modo anche del suo portentoso amico.

La scelta di affidare il progetto a David Lowery appare in questo senso indicativa perché, abituato a lavorare nel cinema indipendente, il regista americano sceglie un punto di vista intimista che emerge fin dalla prima scena, in cui il primo contatto tra Pete e il drago - preceduto dall'incidente mortale che ha ucciso i genitori del bambino - avviene in un clima di sospensione temporale e in uno stato di alterazione di coscienza dove a contare è la capacità di trasformare uno spicchio di foresta in una specie di ventre materno (sicuro e riparato), atto a rappresentare il passaggio di consegne tra i genitori biologici appena scomparsi e quelli acquisiti, coincidenti nella figura del gigantesco drago che, a partire da quel momento, si prenderà cura di lui. Un realismo emotivo che Lowery doppia con una fotografia che, pur salvaguardando la prevalenza di una luce morbida e calda - adatta ad esprimere i sentimenti di amore e di amicizia che unisce gli esseri umani al drago -,  è contraddistinta da sgranature che vogliono restituire l'immediatezza del reale che informa le circostanze in cui si svolgono i fatti della nostra storia. In un quadro del genere a guadagnarci è soprattutto la tecnologia utilizzata nelle apparizioni del drago, poiché a fronte dei tratti volutamente cartooneschi e nonostante l'evidente matrice digitale il fattore virtuale si umanizza fino al punto da far dimenticare la natura artificiale della fenomenale creatura. Ispirato a "Elliot il drago invisibile", il film Disney del 1977 che mescolava cartoni animati e riprese dal vivo, "Il drago invisibile" nella proposta di tematiche tipiche (per questo genere) come quella della crisi del nucleo famigliare e dell'intolleranza nei confronti della diversità - entrambe risolte con la solita dose di correttezza politica - potrebbe essere una via di mezzo tra "Il libro della giungla" (per le similitudini della storia) e "La storia infinita" (per le fattezze del drago e per il rapporto tra quest'ultimo e il bambino) se non fosse per il sovrappiù d'empatia, questa sì davvero personale, con cui il lungometraggio di Lowery riesce a farci credere nella favola raccontata. Per tornare bambini o continuare ad esserlo la visione de "Il drago invisibile" potrebbe risultare addirittura terapeutica al recupero dell'innocenza perduta.

(pubblicato su ondacinema.it)

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