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Microbo & Gasolina

Regia di Michel Gondry vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Microbo & Gasolina

di laulilla
7 stelle

 

Ad anno scolastico già iniziato era piovuto da chissà dove come un UFO, in una classe di scuola media a Versailles, Théo (Théophile Baquet), lasciando dietro di sé un cattivo odore di gasolio. Per questo era subito stato ribattezzato dai suoi compagni col nomignolo di Gasoil (non Gasolina, secondo l’incredibile traduzione italiana, che gli affibbia, non si sa perché, un soprannome femminile!). Evitato da tutti i ragazzi della scuola, bersagliato dalle loro provocazioni e dal loro sistematico mobbing, Théo era riuscito, tuttavia, a stabilire un buon rapporto d’amicizia col suo vicino di banco Daniel, detto Microbo, isolato come lui dai suoi compagni forse perché era il più piccolo, il più esile, quello che portava i capelli così lunghi da sembrare una ragazza; forse e più probabilmente perché il suo anticonformismo con tratti di genialità infastidiva la loro generale mediocrità.
Théo e Daniel, infatti, erano “diversi” dai loro compagni: il primo amava i motori sopra ogni altra cosa:  li studiava,  li aggiustava, li metteva a punto, li rigenerava, senza alcuna paura di sporcarsi o di assorbire attraverso gli abiti gli odori dei grassi che gli servivano per montarli su macchine di ogni tipo, rese da lui perfettamente funzionanti; il secondo amava il disegno e la rappresentazione artistica della realtà: ritratti, caricature e donne nude in pose lascive costituivano i soggetti preferiti delle sue creazioni artistiche, con le quali riempiva quaderni, diari e fogli, alcuni dei quali accuratamente celava sotto il materasso. Per entrambi, i rapporti con i genitori erano difficili: un rigattiere indolente con moglie obesa erano quelli di Théo, che regolarmente rivendeva gli oggetti quasi antichi del negozio paterno per comprare i pezzi utili a un meccanico come lui; una madre sola, depressa e molto snob era l’unica figura genitoriale della casa di Daniel il quale, in sua presenza, si isolava senza lasciar trapelare nulla di sé. Entrambi gli amici coltivavano il sogno di una libertà senza compromessi col mondo della famiglia e della scuola a cui poco erano interessati: avrebbero voluto viaggiare per conoscere il mondo, dimostrando che un’altra vita era possibile. A questo scopo avevano progettato e costruito una strana automobile: una casa a quattro ruote geniale e perfettamente funzionante che, terminata la scuola, li avrebbe portati nella regione del Morvan e forse oltre!

 

I due ragazzi erano riusciti a realizzare, dunque, un viaggio on the road, nel cuore della Francia, a bordo di un veicolo quanto mai bizzarro* a forma di casetta, con tanto di tendine e fiori alle finestre, ricco di incontri sorprendenti, accadimenti imprevisti, talvolta buffi, talvolta grotteschi, talvolta dolorosi e anche di avversità di varia natura che confermavano ai loro occhi la stravaganza insensata del mondo degli adulti dal quale sempre più essi avrebbero voluto prendere le distanze.
Non aggiungerei altro, per evitare di togliere il gusto di vedere un film assai grazioso e godibile.
Non mi pare però sostenibile l’affermazione, assai diffusa, che il racconto dell’avventuroso vagare di Théo e Daniel possa essere considerato un racconto di formazione: al termine del viaggio essi non hanno cambiato né la loro visione del mondo, né le proprie aspirazioni; hanno, invece, semmai confermato le proprie rispettive convinzioni di partenza, nonché l’insofferenza per il mondo insensato dei genitori e della scuola, rifiutando l’omologazione acquiescente che uniforma gusti e aspirazioni, e impone comportamenti vessatori a chi non chiede che di vivere secondo le proprie scelte. L’unico mutamento apprezzabile è in Daniel, che ha imparato, non dall’esperienza del viaggio, ma da Théo a difendersi meglio contro i soprusi e a tagliare i capelli!

*Questo viaggio potrebbe ricordare quello, molto simile per l’improbabilità del veicolo su cui avviene (un tagliaerba opportunamente modificato), del vecchio Alvin Straight, che aveva attraversato l’America dall’Iowa al Wisconsin per raggiungere il fratello nel bellissimo film di David Lynch: Una storia vera

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