Regia di Martin Scorsese vedi scheda film
Gli anni che hanno impegnato Scorsese nella lavorazione della pellicola in questione, hanno il compito di accrescerne il valore; quantomeno in relazione all’ostinazione che lo contraddistingue quando si tratta di perseguire un obiettivo. Tratto dal romanzo storico Silenzio del giapponese Shusaku Endo’, racconta delle persecuzioni subite dai cristiani durante la prima metà del XVII secolo, in Giappone. Nonostante l’origine religiosa del progetto, alla base della regia di Scorsese che, in ogni suo film, inserisce il simbolismo cristiano, palesando apertamente le suo note credenze (ormai tutti o quasi sanno che era arrivato ad un passo, in giovane età, dal prendere i voti), grazie alla classe e alla neutralità che lo rappresenta, la pellicola non ha il benché minimo segno di bigottismo. Il silenzio del titolo si riferisce a quello che Dio sembra tenere davanti alla sofferenza umana, inflitta soprattutto a chi perpetra la fede e chiede il supporto divino che invece sembra non essere in grado di ascoltarti o semplicemente, e più crudelmente, non sia interessato a farlo, come se fosse troppo impegnato in altro. Sostanzialmente questo silenzio si colloca tra il credo di un’entità superiore e il dubbio che investe anche le figure più vicine a Dio. L’emblema, ormai eterno, sembra sempre l’indifferenza apparente (?) che il Signore mostra ai suo servi più devoti; il non intervento, nemmeno in forma morale, con cui gestisce le estreme condizioni umane in cui vertono i suoi fedeli. Lo svolgimento è lento ma non prolisso; racconta con meticolosità la storia e i fatti ad essa legati, in modo che anche lo spettatore meno informato o piuttosto quello più esigente, possano ritenersi soddisfatti. L’unica pecca, che è poi il difetto peggiore, è quello di risultare inemozionale. Lo spettatore non riesce ad immedesimarsi nel dramma che unisce i protagonisti, pur riconoscendone il senso e le origini. Scorsese svolge un ottimo compito, un lavoro completo senza sbavature che però lascia lo spettatore a debita, eccessiva distanza. Talmente eccessiva che ogni eventuale emozione diventa impercettibile.
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