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Silence

Regia di Martin Scorsese vedi scheda film

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La recensione su Silence

di barabbovich
7 stelle

Nel XVII secolo, padre Rodrigues (Garfield) e padre Garupe (Driver) decidono di partire dal Portogallo alla volta del Giappone per fare luce sulla scomparsa di un loro mentore, padre Ferreira (Neeson), che la Chiesa portoghese ritiene essersi macchiato di apostasia. Giunti nel continente asiatico, i due giovani religiosi entrano in contatto con comunità cristiane che vivono clandestinamente, perseguitate dall'inquisizione giapponese che risponde col pugno di ferro ai tentativi di colonialismo culturale degli occidentali. L'accanimento degli inquisitori divarica le strade dei due giovani protagonisti: di padre Garupe si perdono a lungo le tracce, mentre padre Rodrigues prosegue la sua marcia alla ricerca di padre Ferreira, con un'inamovibile fede in Dio, pur sollevando dubbi angosciati sul suo silenzio: perché tanto accanimento sui cristiani? Perché infliggere loro tante pene e torture? Perché non dare un segno? Vietatissimo lo spoiler per il sottofinale, nel quale la vicenda inanella un paio di colpi di scena.
A tre anni da The wolf of Wall Street, Scorsese torna dietro la macchina da presa con un film monumentale, fortissimamente voluto per quasi trent'anni, prodotto a più tasche (tra le tante, quella di Vittorio Cecchi Gori) su un tema a lui caro come quello religioso, già toccato esplicitamente in Kundun e L'ultima tentazione di Cristo e implicitamente in Taxi driver. Si tratta, stavolta, di un affresco grandioso, di maestosa potenza visiva, fluviale nella durata (160 minuti), tra scenari da inferno dantesco e ambientazioni brumose, sorretto dalle scenografie e dai costumi di Dante Ferretti e da un cast di prim'ordine, straordinariamente diretto. Mai didascalico né manicheo, Silence mette in scena il travaglio interiore di un religioso (l'ex Spiderman Andrew Garfield) in costante oscillazione tra fede ed evidenza empirica, su uno sfondo che mostra in maniera efficacissima il tema del contrasto tra culture. Eppure il film tratto da un romanzo scritto negli anni '60 da Shusaku Endo suscita più rispetto che vera emozione: tanto ci si appassiona alle dispute teologiche, tanto si rimane distaccati dai personaggi, asserviti a dialoghi che a tratti sembrano essere fuori controllo.

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