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Silence

Regia di Martin Scorsese vedi scheda film

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La recensione su Silence

di supadany
8 stelle

Come si pratica la fede? Cosa vuole (qualunque) Dio per le sue creature? Martin Scorsese scolpisce un’opera che parla direttamente all’uomo, e dell’uomo, di ogni epoca. Fermatevi un attimo, toglietevi le vostre vesti (simboliche) e riflettete. E se amate l’arte, godetene tutti.

Sono trascorsi tre anni dalla frenesia bulimica che caratterizzava The wolf of Wall street e Martin Scorsese torna con un progetto sentito, così (apparentemente) fuori tempo eppure tremendamente, e da sempre, attuale.

Rispetto al lavoro precedente, Silence è un film divergente nella forma e anche nei contenuti, ma i due insiemi trovano comunque un bacino comune, almeno teoricamente, nel loro spingersi oltre i limiti sondando ciò che sprona l’essere umano, tra spirito e corpo.

Entrambi dimostrano la grandezza dell’autore, quella capacità, ma anche possibilità e opportunità, di convogliare arte e messaggio con estrema facilità, attraverso dispositivi e stilemi cinematografici distinti.

Anno 1633, Rodrigues (Andrew Garfield) e Garupe (Adam Driver) sono due giovani gesuiti che non credendo alla conversione del loro mentore spirituale Padre Ferreira (Liam Neeson) decidono, contro ogni mite consiglio, di recarsi in Giappone.

S’imbarcano in questo viaggio nonostante siano consci che nel paese del Sol Levante i cristiani sono perseguitati fino alla morte; arrivati sul posto, con una guida poco affidabile, trovano cristiani pronti ad accoglierli come se fossero dei messia, ma anche l’inquisizione che nel frattempo ha affilato le sue armi per ottenere ciò che vuole, ovvero debellare ogni germoglio di cristianità.

 

Andrew Garfield, Shinya Tsukamoto

Silence (2016): Andrew Garfield, Shinya Tsukamoto

 

La fede è avvolta nel mistero e la natura umana - così insondabile nelle sue molteplici manifestazioni, capace di tutto e del suo contrario – non le è da meno, la ricerca della spiritualità è perenne, anche se condizionata dall’interpretazione personale ma poi, cosa vuole realmente (qualunque) Dio per le sue creature terrene?

Domanda comunemente aperta alle risposte più distanti - una volta di più nei (nostri) tempi sempre più vuoti e bisognosi di una riflessione sull’importanza del credo - con gli integralisti che, anche nel bene, finiscono con creare divisioni e Martin Scorsese dà delle risposte al culmine di un percorso con giganteschi confronti angolari, che bada alla forma, così come alla sostanza, dimostrando la capacità del grande autore di saper tenere sempre sotto controllo una materia incandescente, cui tiene come il miglior dei padri farebbe con i suoi figli.

Silence parte avvolto dalle atmosfere, tra la nebbia e la vegetazione, il mare e la pioggia, per poi rischiararsi, anche nel dramma interiore più distruttivo, descrivendo una ricerca fisica – quella dei due giovani gesuiti – e poi principalmente spirituale, con limiti che si rimodulano sull’evoluzione, sulla carta da superare, ma poi occorre sempre un’attenta valutazione.

C’è tanto sacrificio, quello fisico che culmina nel martirio, ma anche quello dell’anima che può essere ancora più doloroso quando sembra flettersi, ma poi interiormente rimane un moto interminabile, a volte lungo una vita intera.

Se lo spartito è rigoroso - l’opera è solenne (più che lenta, pur sempre di spiritualità si parla), con alcune vette estetiche assicurate dalla fotografia di Rodrigo Prieto - il suo approdo all’immortalità artistica deriva (anche) dal messaggio, urgente e lucido, sempre per chi non ha intenzione di chiudersi a riccio. Per quanto la storia abbia un’ambientazione arcaica, la rilettura nell’attualità, così come in ogni epoca immaginabile, è un inevitabile collegamento diretto: la storia compie il suo corso, i ruoli s’invertono ma le tragedie si ripetono, con la religione a divenire croce e delizia, dogma e credo profondo, creando più divisioni che condivisioni, nonostante nessun uomo dotato d’intelletto possa pensare che un Dio giusto possa desiderare la morte delle sue creature.

L’amara realtà è che l’uomo non impara mai, portato a vendicare antiche debolezze in funzione della forza del momento, fortunatamente c’era, c’è e ci sarà, chi sente l’importanza della forza della fede e percepisce la presenza interiore di Dio: oltre al sacrificio fisico, quindi terreno, la facciata è un’altra cosa e per salvare vite umane, quello spirituale è attuabile e ancora più estremo, un passo di deprivazione che un’entità superiore non potrebbe che giudicare come la massima delle rinunce.

Dunque, gli anni bui sono una costante, l’umanità riesce a essere raggelante, le persecuzioni si ripetono, la libertà di pensiero e culto sono perennemente ostacolate ma ciò che abbiamo dentro, l’amore e la fratellanza, non può essere debellato da alcuna tortura fisica, nemmeno dalle intolleranze che portano alla chiusura dello sguardo – di occhi, cuore e mente – impedendo una qualunque forma di comprensione, con ricatti atti a stimolare la vacuità della carne, quella debolezza che può elevare i tentennamenti.

Per quanto detto, Silence genera costanti e mutevoli riflessioni, con gli attori chiamati a diventare parte funzionale del processo: dopo una vita (Schindler's list, Michael Collins), Liam Neeson torna a fare l’attore, anche se per pochi minuti, Adam Driver conferma le sue qualità, abbandonando la forza di finzione (Star wars - Il risveglio della forza) per approdare a quella più esistenziale, ma il vero protagonista è Andrew Garfield. L’ex Spider-man (minore) è in piena fase di rilancio: con questo ruolo avviene a livello artistico, mentre con La battaglia di Hacksaw Ridge sta ritrovando anche il feeling con il pubblico che, è inutile negarlo, serve sempre e in primis ha permesso a Martin Scorsese di espletare questa sua urgenza.

Alla fine, è sempre e comunque l’anima a trionfare – l’ultimo dettaglio fotografato racchiude l’essenza del tutto – per un film dall’elevata intensità sensoriale, tra la natura (pioggia, nebbia che accorcia l’orizzonte, il fumo, il fuoco e l’acqua), gli atti simbolici e una portata evocativa capace di coniugare linguaggio, poetica e morale.

Un sincero atto di fede che sfocia nell’arte – della medesima importanza di un quadro tramandato nei secoli di mostra in mostra - ricordando quanto conti fare la cosa giusta, tanto più di fronte alla domanda/richiesta sbagliata.

Contemplativo e radicale nella sua fame spirituale, semplicemente urgente.     

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