Regia di Pablo Trapero vedi scheda film
Interessante pellicola argentina, girata con stile non eccesivamente originale ma assolutamente puntuale nel porre una riflessione penetrante sulla banalità del male che si nasconde anche dietro le pacate fattezze di una famiglia borghese
L'orrore può avere la faccia di un padre di famiglia severo ma integerrimo, oppure quella paciosa da bravo ragazzo di un giovane ricco di talento sportivo. L'orrore può avere pure le fattezze di una famiglia unita ed amorevole.
L'orrore dove meno te lo aspetti. E proprio per questo ancora più sconcertante, disturbante, una manata di ghiaccio in faccia allo spettatore, un pugno nello stomaco.
La ricostruzione del caso Puccio che vasta eco ebbe nell'Argentina di metà anni '80 è stata l'occasione per proporre qualche riflessione sul male e sulle sue manifestazioni. La famiglia di medio borghesi dedita ai sequestri e agli omicidi è infatti lo specchio di un paese che conobbe una dittatura ferocissima, di impronta militare. Una dittatura caduta sotto il peso della sua stessa arroganza (un'improbabile guerra contro una delle nazioni più forti almeno sotto il profilo del militarismo, era prevedibilmente un autentico suicidio, cosa confermata poi dai fatti), una dittatura che, come tutti i regimi autoritari, riuscì comunque ad affermarsi e a reggersi grazie alla collaborazione di fiancheggiatori inseriti nei vari strati della popolazione.
Arquimedes Puccio sembra un esponente anonimo del ceto medio argentino, invece negli anni della dittatura ha fatto parte dei servizi segreti, uno dei bracci esecutori in quelle nefaste operazioni che determinarono la sparizione di persone, vicende che hanno reso tristemente famosa la dittatura di Videla.
Rimasto disoccupato all'indomani dell'avvento della democrazia, decide di sfruttare le proprie “competenze professionali” per organizzare sequestri in proprio e ottenere riscatti.
Si avvale di pochi e fidati complici e soprattutto si avvale della collaborazione di Alejandro, il maggiore dei suoi cinque figli, grande promessa del rugby nazionale, bravo ragazzo benvoluto da tutti che non sa sottrarsi all'autorità paterna.
Sembra una storia assurda, ai limiti del credibile, e invece è tutto vero.
Al di là di quella che è la ricostruzione del fatto in se stesso, ciò che rende interessante questa pellicola, scritta e diretta da Pablo Trapero, sono i sottotesti che non possono non essere colti dallo spettatore più attento e che conducono a una serie di considerazioni sulla natura del male e sulle oscurità dell'animo umano.
Alejandro è un bravo ragazzo nel senso più classico del termine, rispettoso della famiglia, dedito allo sport, amato dagli amici, dedica il tempo non occupato dal rugby alla gestione di un negozio di articoli sportivi. Insomma il figlio ideale che tutti vorrebbero avere.
Alejandro nonostante la sua indole (o forse proprio per quella) non riesce a sottrarsi ai nefasti ordini paterni, i gelidi occhi azzurri di Arquimedes e la sua voce sempre pacata sono le raggelanti espressioni esteriori di una volontà ferrea e di una personalità contorta, che prega il Signore di non risultare mai deludente per il figlio, si fa il segno della croce di fronte al desco, ma non dimostra il benché minimo rispetto per i più elementari diritti umani nel perseguire i suoi scopi criminali.
Il resto della famiglia (medio borghese e colta, moglie e figlia del “mostro” sono insegnanti) appare poi in assoluto devota alle volontà paterne, ad eccezione del giovane Guillermo che si allontanerà dalla famiglia, supplicando al momento della sua partenza definitiva, in una delle scene più suggestive della vicenda, il fratello Alejandro di trovare la forza per fuggire dal Clan.
Inutile dire che le vicende della famiglia Puccio diventano immediatamente la metafora dei tristi avvenimenti dell'Argentina schiacciata dalla dittatura militare, riflessione amara sull'autoritarismo che riesce a prosperare laddove trova facili connivenze in chi, per convenienza, carattere, inclinazione, consuetudine o altro ancora, non ha il coraggio di ribellarsi e si ritrova complice di nefandezze che altrimenti non tollererebbe.
Anche se è un bravo ragazzo dedito allo sport e alla famiglia.
Se dal punto di vista tecnico siamo di fronte a un'opera certamente valida ma non straordinaria (il regista rivela uno stile abbastanza convenzionale. E ad un ottimo inizio e a una prima parte ben articolata segue una seconda che risulta meno efficace dal punto di vista della tensione narrativa), questo film diventa invece assolutamente meritevole di una visione per le implicazioni etiche sopra esposte.
Per la capacità di esporre in maniera pulita l'agghiacciante sobrietà del male.
Buona la prova del cast, con nota di merito per i due protagonisti, Guillermo Francella nei gelidi panni di Arquimedes e Peter (Juan Pedro) Lanzani, giovane stella della TV argentina, in quelli assai scomodi di Alejandro.
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