Regia di Oliver Hermanus vedi scheda film
Percy, piccolo criminale di un'altrettanto minuta comunità sudafricana, esce dal carcere dopo quattro anni ritrovando la moglie Tiny. Sebbene prometta (anche all'odiosa suocera) di comportarsi da buon marito, non riesce a tenersi lontano dai vecchi amici mentre la moglie continua a mantenere la famiglia (composta da due piccoli figli) lavorando come cameriera in un fast food. Nel locale, spesso si reca a mangiare anche Gilles, un francese che vive in una vicina fattoria con la moglie e i due figli. Ben presto, però, i familiari dell'uomo rmangono vittima di una tragica irruzione in casa: la donna viene prima violentata da tre neri dal volto incappucciato e poi colpita a morte da 11 pugnalate e 2 colpi di pistola mentre i figli uccisi a sangue freddo. La polizia brancola nel buio, si pensa a un rito di iniziazione e tra i sospetti vi è sin da subito Percy.
Ha inizio così l'anomalo thriller di Oliver Hermanus, che si presenta a Venezia con un'opera ambigua ma allo stesso tempo affascinante, in cui le decifrazioni vengono lasciate allo spettatore e il non detto prevale sulla parola. Suddividendo The Endless River in 3 differenti capitoli chiamati con i nomi dei personaggi, Hermanus imbastisce una storia di violenza, sangue e amore, che non cede mai il passo alla noia. Senza fare dell'azione il suo motore, si dedica ai protagonisti scrutandone sensazioni, desideri e sentimenti, per affrontare temi come la solitudine, la rabbia, l'isolamento e il perdono.
Simboli di due mondi agli antipodi costretti a convivere in un angolo disperso di paradiso terrestre popolato da demini interiori e non, Tiny e Gilles intrecciano i loro destini senza che nemmeno loro stessi se ne rendono conto. Tra sospetti e silenzi, si incamminano verso la strada della compagnia imparando a mettere da parte la loro forza di volontà. Rimanendo immobili di fronte alle scelte spietate del fato, Gilles e Tiny realizzano di non essere più due individui a se stanti ma un unico corpo quando mettono da parte le profonde ferite che sono state loro inferte, quando uno dei due si trasformerà da ferito in carnefice. Scollegati e lontani, vivono in una terra devastata da tensioni (razziali) mai sopite, in cui per il poliziotto bianco il sospetto è sempre il nero e per il poliziotto nero è il bianco. Straniero l'uno e integrata nella propria comunità di appartenenza l'altra, appartengono anche a sfere socioeconomiche differenti ma la forza di rivalsa permette a entrambi di infrangere ogni barriera. Riconoscendo nei rispettivi silenzi la volontà di fare la scelta esatta, confonderanno innocenza e colpevolezza in un continuo susseguirsi di verità taciute.
Aperto da titoli di testa in stile vecchio western e condito da dialoghi mai scontati, The Endless River poggia sull'interpretazione di un ottimo Nicolas Duvauchelle, la cui presenza in scena finisce per oscurare quella della seppur brava Crystal-Donna Roberts. Alla Roberts va dato però atto di riuscire a esteriorizzare i pensieri e il travaglio interiore del suo personaggio senza eccedere in cliché da vittima, termine che contrassegna l'intero percorso della sua protagonista/antagonista/oggetto del desiderio. Forse un po' troppo ambizioso, Hermanus fa dell'ellissi la chiave di lettura della vicenda, spiazzando chi non è avvezzo a indurre piuttosto che a dedurre. Il paesaggio sudafricano in cui gira, tra foreste, oceani e grandi fiumi, contribuisce inoltre a rendere ipnotiche intere sequenze e a lasciarsi trasportare passivamente dal fiume degli eventi così come accade ai due protagonisti.
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