Regia di Laszlo Nemes vedi scheda film
L'olocausto come non lo avete mai visto: da dietro le spalle, segnate da una vistosissima X rossa, di Saul (interpretato dal poeta ungherese Géza Röhrig), kapò nel 1944 all'interno del lager di Auschwitz, al servizio dei nazisti, tra berci continui e indistinguibili, corpi nudi trattati come fossero carne da macello, urla agghiaccianti di chi viene rinchiuso nelle camere a gas e tenta miseramente di far sentire la propria disperazione. In mezzo a questo mattatoio, Saul, con un'unica, attonita espressione, ha un solo scopo: trovare un rabbino che possa dare sepoltura a suo figlio, onorandolo secondo la liturgia ebraica.
Laszlo Nemes, di cui Il figlio di Saul è il primo film ad arrivare nel nostro paese, racconta il dramma della Shoah dal punto di vista degli ebrei ungheresi, proponendo allo spettatore una visione quasi tutta "di nuca" (quella del protagonista), una variante dell'estetica del POV che trasforma la mostruosità del campo di sterminio in pornografia iperrealista, con lunghissimi pianisequenza e un'attenzione totale al piano stilistico (con formato 1:37), col risultato di far sembrare il film uno sterile esercizio di stile in chiave sperimentale, fine a sé stesso, rispetto a uno spunto - quello della pervicacia con cui il protagonista sta tanto alle regole del gioco del Sonderkommando, quanto a quelle della sua religione - che è l'unico rivolo narrativo di un'opera che punta tutto sulla stimolazione dell'immaginazione dello spettatore e nella quale, quasi per paradosso, i suoni finiscono per contare assai più delle immagini.
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