Regia di Laszlo Nemes vedi scheda film
Ma una volta non esisteva un'etica dello sguardo? Come si può accettare che una storia del genere, ambientata nell'angolo più infernale di un campo di concentramento venga narrata con ingombranti masturbazioni sperimentali in mezzo a una montagna di cadaveri da bruciare? Una volta che IL COSA (riprendere) è accettato ogni COME è accettabile?
Fatico a credere che il regista Laszlo Nemes abbia scelto questa storia più per il suo significato che per la necessità di avere un veicolo adatto a permettere ad un'idea (idea...) di regia di rendere al meglio. Perché ovviamente lo spettatore in un qualsiasi altro ambiente dopo un po' si stancherebbe di quest'idiota menomazione dell'occhio che nulla ha a che fare con qualsiasi esperienza o istinto visivo che un essere umano possa avere. E allora facciamogli sbirciare a fatica qualche atrocità che così facciamo fruttare al massimo gli scorci periferici dell'inquadratura sembrando anche pudici nel mostrare nefandezze e potremo poi pure parlare dell'intenzione di comunicare uno stato d'animo asfittico attraverso soluzioni registiche, della mente ripiegata su se stessa di chi è circondato dall'orrore, dell'interessarsi dappresso alle reazioni (o piuttosto alla mancanza di reazioni ) di un essere umano, del suo volto (e soprattutto della sua nuca), in una situazione-limite. Tutte cose secondarie.
Queste riflessioni si affollano e rendono ancor più faticosa la visione mentre cerco di spiegarmi perché l'immagine frustra i bisogni dell'occhio e perché legioni di ottimi registi e occasionalmente geni che hanno professato l'invisibilità della macchina da presa, diventano d'un tratto dei coglioni di fronte a Laszlo Nemes, il quale semplicemente segue indolente una faccia (e una nuca) aprendo ogni tanto la visuale quando più fa comodo e continuando così col suo balletto a ripetermi: Guarda che bravo che sono, sto girando un film innovativo sui campi di concentramento, guarda anche il bambino morto, ma di quello te ne dimenticherai, della mia invenzione registica no di certo...
L'occhio del regista è il nostro occhio di pubblico ed esprime un atteggiamento di fronte all'evento che anche da solo, come atteggiamento, parla col linguaggio dell'emotività umana. In una situazione delicata una persona decente che veramente sente e soffre insieme agli altri di solito fa un passo indietro, spegne l'ego, si fa ancora più scrupoli. Ma il punto è forse proprio che non credo si riesca a vedere un essere umano in questa scelta di regia macchinosa, prefissata e immutabile, che in un certo senso evita ogni scelta su COSA mostrare e COME mostrarlo, e che in una situazione umanamente tragica ci dà il ruolo di un occhio meccanico attaccato come un parassita ad un'unica misera idea.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta