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Chronic

Regia di Michel Franco vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Chronic

di alan smithee
8 stelle

FESTIVAL DI CANNES 2015 - CONCORSO - PREMIO PER LA MIGLIOR SCENEGGIATURA

La morte, il senso di vuoto che lascia un trapasso, sono la costante che il regista messicano Michel Franco si porta dietro almeno dal suo film più famoso prima di questo suo ultimo lungometraggio, ovvero dai tempi di Después de Lucia. In Chronic, pellicola che ha gelato e sin sconvolto la Croisette all’ultimo Festival di Cannes, seguendo il lavoro quotidiano di David, un infermiere che assiste malati terminali, ci si addentra in un mondo in cui l’operosità amorevole e l’assiduità quasi maniacale in cui il protagonista assolve ai suoi compiti, per loro natura sempre limitati nel tempo a causa dell’inevitabile destino dei pazienti che gli si affidano, nasconde in realtà uno stato d’animo profondamente turbato, lacerato, sconvolto da circostanze personali che si annidano all’interno di situazioni familiari mal definite o precarie.

Il lavoro diventa perciò qualcosa di molto più complesso e decisivo di una semplice mansione: egli diviene l’angelo custode, il traghettatore dei suoi pazienti verso il compimento del viaggio finale, quello che tutti coloro che egli ha in cura, intraprendono con celerità lasciandolo ogni volta in balia di un destino incerto, che mette a repentaglio ed in discussione il mondo. L’universo che ogni volta un nuovo paziente riesce ad assicurare all’uomo.

David accudisce, pulisce amorevolmente, dona conforto alle ultime ore di vita dei suoi sventurati pazienti: non usa guanti perché dà estrema importanza al rapporto tattile, circostanza che gli provoca uno dei più gravi e spiacevoli inconvenienti con i parenti di un suo assistito, cominciando il travaglio personale che lo porterà verso il baratro.

La circostanza di dover passare dalla cura di un paziente terminale a quella di un ragazzo spastico con gravi problemi locomotori, ma non certo in fin di vita, e che per di più lo apostrofa volgarmente, farà scattare la molla verso una decisione inaspettata e definitiva.

Le atmosfere glaciali e mortifere lucide fino a risultare disturbanti confermano in questo suo nuovo film uno stile che non può non ricordare quello di Michael Haneke.

Ma la storia, la vicenda, seguono un loro corso autonomo e come tale meritevole di considerazioni del tutto autonome.

Forte di un’interpretazione magistrale da parte di Tim Roth (che proprio con Haneke si era reso responsabile di un buon remake statunitense (fotocopia) del film che ha lanciato internazionalmente il regista austriaco, ovvero l’efferato Funny Games), Chronic è un film che raggela, devasta e ferisce lo spettatore con la lucida disinibita lucidità con cui decide di affrontare la rappresentazione di una sofferenza che va oltre la tortura fisica della malattia, anelata quasi dal nostro devastato protagonista, in cerca lui, al contrario dei suoi pazienti, di una soluzione definitiva che invece pare essergli negata.

 

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