Regia di M. Night Shyamalan vedi scheda film
Premesso che non sono un conoscitore nè approfondito frequentatore dell'arte del regista Shyamalan (ne devo aver visto un paio di film ma che comunque hanno lasciato nel sottoscritto ben poche tracce), devo dire che questa sua recente opera mi ha indotto sconcerto e perplessità. Tanto che -come mi succede quando l'esito di una visione mi appare irrisolto- ho dovuto vederlo due volte. E ancora non sono del tutto convinto di averne afferrato il senso. Diciamo che percepisco di aver visto un film sicuramente non banale e probabilmente autoriale ma forse anche troppo pretenzioso e troppo sofisticato. Se le intenzioni sono indubbiamente alte, la resa non è sempre altrettanto all'altezza del suddetto spirito autoriale. E d'altronde -mi par di capire- tutto il cinema di Shyamalan è così. Spesso molto personale, d'autore appunto, ma...che autore? Forse un cineasta che si fida troppo delle proprie intuizioni artistiche, che quando ha in mente un progetto lo porta avanti con determinazione, e questo ci dice quanto egli sia sincero e convinto, ancorchè alle prese con idee un po' bislacche e non condivisibili (adesso mi aspetto che i fans del Maestro -in molti lo considerano tale- mi càrichino di bastonate, e pazienza). Il film mi è parso innanzitutto assai rigoroso, asciutto e privo di qualunque fronzolo, tanto che lo stile mi ha ricordato vagamente quello degli autori del gruppo Dogma. Dunque -e qui ritorniamo al discorso sopra evocato di una supposta autorialità-: non c'è dubbio che il cineasta non ami indulgere in momenti pop per lisciare il pelo allo spettatore, no, lui va avanti per la sua strada seguendo ciò che gli dice il cuore (o il cervello), da qui una certa freddezza del film, ma anche una realizzazione molto personale, mettendo in scena un dramma horror che -appunto- non ricorda nessun altro stile di regia (a parte la citata da più parti ispirazione alla fiaba dark di Hansel e Gretel). Qui non è l'horrror che conduce la mano del regista ma una vena dark pesantissima, che genera nello spettatore uan dose massiccia -a tratti quasi insostenibile- di profondissime suggestioni di inquietudine, una quantità di effetto "malessere" distribuito a piene mani su tutta l'ora e mezza di durata. Ma "malessere" non è forse il termine idoneo. Me ne viene in mente un altro più opportuno. Io parlerei di un film improntato fortemente allo STRANIAMENTO che si fa a momenti difficile da affrontare. Basti pensare al tipo di recitazione dei due anziani (vista poche volte al cinema tanta oscura ambiguità come in questo nonnetto) o anche alle performance da rapper del ragazzino (chi ha visto il film mi potrà capire) che ci appaiono prima cialtronesche poi quasi inquietanti. Ma dove l'ambiguo e l'inquietante si fondono alla perfezione determinando un effetto IMMENSAMENTE STRANIANTE è nella magìa che guida la mano di Shyamalan nell'accostare certe musiche che non saprei come definire con quello che i nostri occhi vedono. Davvero, certe scelte musicali sono qui importantssime proprio perchè commentano magistralmente le immagini attraverso meccanismi psicologici che lasciano basiti per la loro efficacia -appunto- incredibilmente STRANIANTE. Ed è proprio questo effetto particolarissimo che mi ha indotto a modificare -in meglio- una mia prima impressione negativa sull'opera. In definitiva diciamo che Shyamalan è autore a tratti eccentrico nei propri bislacchi approdi ma almeno è cineasta molto personale e sincero. Giudizio ambiguo? Sì, lo confesso, non riesco a farmi un'idea "risolta" su di lui, ma questa sua ultima opera mi pare una delle più riuscite, proprio per come trasmette una sorta di "malessere dark" allo spettatore. Abbiamo un antefatto che nel film viene spesso citato ma comunque destinato a restare oscuro e irrisolto, sul passato di una donna che da ragazza scappò di casa dopo esser stata abbandonata dal marito con due piccoli figli. E dopo svariati anni i due ragazzini vogliono conoscere i nonni e dunque lasciano a casa la loro mamma e partono, mentre rimangono in contatto con essa attraverso skype. La situazione di questi due anziani è qualcosa di arduo da raccontare, diciamo che loro nascondono ai due nipotini che essi ospitano nella loro dimora un sacco di cose. E si mostrano di un'ambiguità sempre più inquietante. Fino ad una deriva finale angosciante all'ennesima potenza di cui ovviamente non rivelerò nulla. Diciamo che se quell'ambiguità straniante è la felice cifra primaria del film, è pur vero che essa è logorata qualche volta dall'affiorare di un po' di noia dovuta alla ripetitività del meccanismo che si trascina per quasi tutto il film, quello di un documentario che i due ragazzi vogliono realizzare nella "casa dei nonni", attraverso una serie sfiancante di "interviste" coi due anziani. Per dirla con il critico di Film Tv che lo ha recensito, si tratta di "un paradossale, cattolicissimo, esasperato Melò Familiare". E concludiamo con un cast piuttosto ben assemblato. Partendo da un'attrice americana che io adoro e che sto seguendo attraverso le tante pellicole a cui ha partecipato negli ultimi anni, e mi riferisco alla bravissima Katryn Hahn, un volto ricco di espressività (qui è la mamma dei due ragazzi). Poi a parte questi ultimi che vabbè fanno il loro dovere di giovani attori, a giganteggiare sono i due nonnetti angoscianti. Lei è una istrionica Deanna Dunagan ma il vero "maestro" è il vecchio Peter Mc Robbie, qui impegnato in una performance di una bravura formidabile. Un mostro di ambiguità e di cattiveria, davvero una prova, la sua, da applausi a scena aperta, e certe sue improvvise mutazioni d'umore sono uno spettacolo che vale da solo il prezzo del biglietto, seppur il suo talento sia collocato in un contesto narrativo non sempre convincente. Osservatelo mentre conduce un gioco da tavolo coi dadi: definirlo "luciferino" è puro eufemismo.
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