Regia di M. Night Shyamalan vedi scheda film
Capita sovente che tra ragazzini e persone anziane domini incontrastato l’abisso.
Convivenze forzate, reciprocamente lontane anni luce, ognuna delle quali perse nel proprio peculiare universo.
Ma ad ammantarsi di nebuloso sinistro mistero, che non di rado procura piccoli brividi lungo la schiena, è sicuramente il mondo sommerso di quelli che siamo soliti chiamare ‘vecchi’.
Alle volte così indecifrabile (e spesso ingestibile) nel suo affaccendarsi in quegli assurdi reiterati rituali sempre uguali o in quegli sporadici slanci di varia natura imprevedibili quanto preoccupanti, da risultare (non sempre a torto) un problema, persino un pericolo per il quotidiano ménage familiare, per i singoli componenti di un qualsiasi gruppo-famiglia dove sono presenti uno o più soggetti in età avanzata.
In fondo, a chi nipotino non è mai successo di guardare i propri ‘vecchi’ nonni con occhi certamente benevoli eppure sospettosi, nonché curiosi e finanche impauriti di fronte a quelli che vengono percepiti come soggetti singolari, da osservare e studiare con attenzione, di cui non fidarsi e a cui non affidarsi completamente nel caso si rimanesse da soli, in casa, con loro.
E nell’ottica deformante, iperbolica del genere horror le ‘stranezze dei vecchi’ -che vanno dai tipici acciacchi dell’età senile a patologie ben più gravi da richiedere aiuti specialistici- si tramutano in grottesca follia, fino a far germogliare l’idea che siano il risultato di una qualche possessione di natura soprannaturale, magari proveniente dagli infuocati inferi come dall’ignoto spazio profondo. Che, di certo, non fanno dormire tranquilli la notte.
Il nuovo film di M.Night Shyamalan si muove su questa idea oramai radicata -e perciò attesa/prevista- nel pubblico che segue il mockumentary horror e le produzioni (horror) firmate Blumhouse. Opere a basso budget che replicano oltre lo sfinimento il medesimo soggetto, sottoposto a varianti più o meno rilevanti, concernenti proprio la presenza di un’entità altra capace di soggiogare il corpo e la mente dell’ospite inerme.
E The Visit sfrutta a pieno regime gli stilemi del finto-documentario giocando, divertito e divertendo, con una presunta possessione, con lo spavento telefonato che nelle mani del regista de Il sesto senso si fa tutt’altro che scontato, con le soggettive tremolanti, con le domestiche ore notturne, quando le ‘stranezze’ dei nonni raggiungono le vette più alte suscitando nei nipoti che guardano ad occhio nudo e tramite videocamera (e noi con loro) un misto di disgusto, incredulità, orrore e risate.
Ma se in The Visit la forma si ‘piega’ alle regole dell’horror che più fa presa sul grande schermo (o semplicemente le sperimenta), i contenuti arrecano ben incisa la firma del regista indiano naturalizzato americano.
Ancora una moderna favola nera, ancora un racconto di formazione.
Ancora un mistero da svelare, ancora una storia familiare da raccontare.
Ancora un trauma, una ferita con cui convivere, ancora un evento straordinario capace di richiudere lo squarcio.
E una morale finale, riflessioni sulla caducità dell’umana condizione, sul triste incerto vagare nelle tenebre dell’esistenza.
Non tutto è totalmente a fuoco, non tutti i pezzi si incastrano perfettamente come il regista-autore ci ha così bene abituato, ma The Visit resta comunque un’opera pregevole.
Bizzarra, sghemba, sfrontata, che più di una volta sfiora il ridicolo (volontario).
Eppure o proprio per questo, si segue che è un piacere.
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