Regia di M. Night Shyamalan vedi scheda film
Umiliato da una critica e da un pubblico che chiedono toni uniformi e rigettano ogni attrito linguistico, il cinema di M. Night Shyamalan - che è insieme serio e caricaturale, fiabesco e teorico, sempre fuori misura rispetto all’intrattenimento di oggi - si ridimensiona sotto l’egida Blumhouse: 5 milioni di dollari da spendere, un genere da coniugare, un film che sa d’essere minore. Una madre si confessa alla telecamera della figlia: da giovane è fuggita dai suoi genitori con un uomo, e ora il padre dei suoi figli l’ha abbandonata. Loro, i bimbi oggi adolescenti, vengono mandati dai nonni, che nessuno vede da 15 anni. Qui i giovincelli vorrebbero girare un film sull’infanzia materna. Ma le telecamere vedono tutto, eccetto le evidenze. Il formalismo elegante di Shyamalan si applica all’abusata estetica POV, deride le regole del genere con i commenti della giovane filmaker e scolpisce le medesime per creare paura: contratta parodia e terrore, provoca il senso dell’osceno (la vecchiaia come orrore) e sfida sfacciatamente quello del ridicolo, e, come sempre, irride i pregiudizi di chi non sa guardare. Un Hansel e Gretel contemporaneo, una fiaba sul superamento delle fobie figlie del narcisismo 2.0, ma, soprattutto, un paradossale, cattolicissimo, esasperato mélo familiare, l’ennesimo sublime banco di prova per la comunità e per i suoi affetti.
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