Espandi menu
cerca
Cavalli selvaggi

Regia di Robert Duvall vedi scheda film

Recensioni

L'autore

scapigliato

scapigliato

Iscritto dall'8 dicembre 2002 Vai al suo profilo
  • Seguaci 136
  • Post 124
  • Recensioni 1368
  • Playlist 67
Mandagli un messaggio
Messaggio inviato!
Messaggio inviato!
chiudi

La recensione su Cavalli selvaggi

di scapigliato
9 stelle

La quinta regia di Robert Duvall, Wild Horses (2015), prosegue sulla linea delle precedenti. Un cinema asciutto e asciugato dal non necessario con soluzioni visive simboliche e poetiche. Un cinema di taglio indipendente per lui, il grande vecchio, che viene da ’60 e dalla New Hollywood, da Coppola e dal western. E al western ritorna con un country drama leggero e silenzioso che sa sorprendere in più aspetti.

Se la confezione richiama in più parti l’editing televisivo, la messa in scena è invece al servizio della pulizia dell’immagine cara al Duvall regista e non va confusa con la scarsità di mezzi produttivi. Questi, qualora fossero stati davvero scarsi, si sono così rivelati una virtù per l’estetica dell’ottuagenario attore di San Diego che ama caso mai iperbolizzare la storia, i contenuti e i personaggi, ma non la messa in scena.

La trama è semplice, ma al tempo stesso articolata su più livelli. La cornice è la riapertura di un cold case di quindici anni prima, la sparizione di un ragazzino messicano, amico intimo del giovane figlio del rude ranchero Scotty Brigg, lo stesso Robert Duvall splendido ottantacinquenne a cavallo; il secondo plot che viene seguito con intenzione narrativa e autoriale dal regista riguarda il detective dei Texas Ranger a cui è affidato il vecchio caso: è una donna e si chiama Luciana Pedraza Duvall, dal 2004 moglie di Robert, e già attrice in Assassination Tango (2002).

Aggiungono valore al film Josh Hartnett e James Franco. I due attori coetanei, classe ’78, non avevano mai girato un film insieme ed essendo due tra i migliori attori della loro generazione, vederli duettare al fianco di un vero old american è uno spettacolo non indifferente per chi ama la recitazione e il valore segnico e figurale di attori e personaggi.

Josh Hartnett, con la sua proverbiale pacatezza e l’animo umbratile, dà vita a un personaggio di contorno, uno dei fratelli Briggs, devoto al padre, lui stesso padre affettuoso, ma spiazzante nei momenti drammatici più intensi dove la gravità e il distacco tipici dell’attore minnesotan ce ne ricordano la cifra attoriale.

James Franco, dal canto suo, torna credibile dopo una trentina di ruoli in soli quattro anni. Dopo l’ottimo gangster sui generis di Spring Breakers (2012) ha dato il meglio di sé nella regia, apparendo bolso e fuori luogo in quasi tutte le pellicole in cui ha partecipato come attore. Qui invece, nel ruolo del figlio gay e cacciato di casa dal padre padrone Duvall, torna a dosare la sua istrionia, concedendosi qua e là qualche sua tipica posa accattivante e smargiassa che tanto ce l’hanno fatto piacere fin dai tempi di James Dean (2001) e Spider-Man (2002) - da non perdere la sua personale imitazione del vecchio Duvall.

Ovviamente Wild Horses non è solo un film di caratteri, ma nella regia e nei contenuti dice molto di quell’America provinciale, profonda, marginale, legata al passato e ai doveri di una nazione. Le ritualità, le simbologie e tutta l’iconografia western fanno di Wild Horses un country drama di segno opposto agli edulcorati e bucolici quadretti per famiglie targati Disney. Non a caso c’è un’inquadratura a piombo, emblematica, di un cassetto contenente una Bibbia e una pistola: il vecchio testamento fa ancora oggi, nell’America rurale del dopo Obama, le sue vittime. In Wild Horses c’è la rottura, l’interruzione dei valori, la loro decostruzione; c’è il vilipendio, lo sfregio alla virilità e alla morale nazionalista; ma c’è anche la pietà, l’affetto, il dialogo, le botte, le sorprese e i vitelli grassi che qui diventano belle capre arrostite.

Storia di peccati, sconfitte, odi e vecchi rancori, ma anche di ritorni, rigenerazione, resurrezione e sacrificio, Wild Horses è la Gran Torino (2008) di Robert Duvall, come sempre gigantesco, emozionante e generoso, con quel modo personale di recitare, di gesticolare, di ripetere le parole, oltre che essere defilato e minimalista. Cifre queste di un attore che ha saputo sedersi con successo anche dietro la macchina da presa.

Ti è stata utile questa recensione? Utile per Per te?

Commenta

Avatar utente

Per poter commentare occorre aver fatto login.
Se non sei ancora iscritto Registrati