Regia di Michael Curtiz vedi scheda film
La regia classica di Micheal Curtiz confeziona un western superbo dal ritmo implacabile, purtroppo sottovalutato.
L'insediamento di Dodge City, creato nel Kansas dal colonnello Dodge dopo la guerra di secessione sul percorso della ferrovia che procede implacabile verso ovest, diviene a breve giro un centro importantissimo per il commercio del bestiame, attirando nel contempo ogni genere di delinquenti ed approfittatori. Tra questi emerge Surrett (Bruce Cabot) che con la sua banda lucra con affari sporchi e truffe con le compravendite di bestiame, facendo fare una brutta fine a chi si rifiuta di sottostare alle sue pretese ed imponendo una tirannia criminale di stampo mafioso.
Il cowboy di origine irlandese Wade Hatton guida una nuova carovana di coloni verso la città; tra questi Abbie (Olivia de Havilland) ed il suo scriteriato fratello, che ci lascia le penne a causa della sua infantile imprudenza che rischia di mettere in pericolo la vita di tutti, scatenando il panico tra i bovini da cui egli stesso verrà travolto dopo essere stato ferito da Hatton.
Giunta la carovana in città, emergono subito le tensioni tra i nuovi arrivati e la banda di Surrett, che già anni prima, nel prologo del film, era stato denunciato da Hatton per bracconaggio di bisonti. L'irlandese sembra l'unico ad avere le capacità ed il coraggio di tener testa ai prepotenti ed il posto di sceriffo, vacante per decisione dello stesso Surrett che aveva espulso dalla comunità la legge stessa insieme ai pavidi detentori della carica, viene proposto allo stesso Wade dai cittadini terrorizzati. Dopo un'iniziale riluttanza, il degenerare della violenza con la tragica fine di un bambino lo convince ad accettare per dedicarsi al repulisti della comunità, supportato dal giornale locale diretto da Joe Clemens (Frank McHugh). Abbie che inizialmente non riusciva a perdonare ad Hatton di aver sparato al fratello, troverà un lavoro al giornale e si addolcirà verso il nuovo efficiente sceriffo.
Dodge City (il più diretto e confacente titolo originale), riunendo i principali elementi del western classico (indiani esclusi), narra la storia della società di una città del West, la sua crescita vorticosa, disordinata e soprattutto anarchica, fino al progressivo e faticoso instaurarsi della legge e dell'ordine al posto della cieca violenza, in un arduo e contrastato processo di civilizzazione della frontiera. Oltre allo scontro personale Hatton-Surrett, archetipi di quello tra legge&ordine versus anarchia criminale, il film presta pertanto attenzione agli aspetti sociali, come il ruolo della nascente stampa od il tema postbellico, col mescolarsi nel West di ex-confederati e ex unionisti appena usciti dalla guerra civile, convivenza non sempre facile né scevra dal riemergere delle passate tensioni (vedasi la rissa al saloon scatenata da opposti canti di guerra).
La regia classica e sicurissima di Micheal Curtiz, con uno stile che mi ha ricordato quello di Martin Scorsese, confeziona un'opera di sfavillante intrattenimento tenendo insieme una trama articolata in numerosi fili narrativi che percorrono il film dall'inizio alla fine (vedi la vicenda di Cole ucciso all'inizio dalla banda di Surrett per aver richiesto il pagamento del bestiame, che poi continua con il figlioletto e riemerge nella sezione finale conducendo allo scontro definitivo), condensando una quantità considerevole di materiale narrativo in un'ora e quaranta di ritmo fluido e serrato, ma non dando mai l'impressione di affastellare le diverse vicende; al contrario la sceneggiatura implacabile procede come il treno dell'incipit, non lasciando mai spazio un momento di noia o disinteresse. Il regista insaporisce il tutto con la giusta dose di ironia che contribuisce a farci affezionare ai personaggi (“Ah, but you can't do this to me after all we have been through together. We fought the war together, built a railroad together. We ate, drank, slept, lived and died together. -- And now we're going to be in jail together. You in there and me out here”).
Tra le molte scene memorabili: quella iniziale con la gara di velocità tra la diligenza ed il treno a vapore, la bellissima sequenza della libera uscita del cowboy Rusty (Alan Hale) che “vede la luce” e si unisce alle beghine della Pure Prairie League per poi venire ugualmente coinvolto nella megarissa nel frattempo scoppiata nell'adiacente saloon, lo spettacolare scontro finale nuovamente su un treno, in fiamme.
Girato in un fulgente Technicolor, che esalta il blu dei cieli dell'Ovest quanto quello della camicia del fascinoso Errol Flynn, che se la cava alla grande come versione più elegante di John Wayne e supporta validamente il charachter arc di un bovaro di sani principi che supera le sue ritrosie ad accettare l'assunzione di responsabilità nei confronti della comunità che lo ha adottato, accettando la carica di sceriffo. Più da non protagonista il ruolo della coraggiosa Abbie affidato all'immortale Olivia de Havilland, molto probabilmente l'unica persona ad aver lavorato a questo film ad essere ancora oggi in vita (ho controllato, anche l'attore-bambino è deceduto nel 1999).
Mi sorprende e mi rattrista che questo magnifico film, che ho scoperto casualmente grazie a RaiPlay, sia stato dimenticato e non figuri tra i grandi classici del western hollywoodiano tra cui avrebbe tutte le carte in regola per comparire. Anche qui su filmtv spero di contribuire ad alzare la sua media al di sopra del 7 che ha ora.
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