Regia di Alex Gibney vedi scheda film
Se si limitasse a tratteggiare la figura del protagonista, The Man in the Machine sarebbe null'altro che la testimonianza d'una delle miriadi e comunissime storie di pescecani senza scrupoli di cui è ricolmo il cinema, tema sul peccato di hybris compreso. Ma c'è ben altro, a cominciare dalla fatidica domanda posta nell'incipit, preludio a un'analisi che s'addentra nei meandri della sociologia postmoderna. L'elefantiasi egoica del guru della Silicon Valley si rivela infatti speculare a quella di milioni d'utenti delle “isolazionistiche” tecnologie Apple, la cui essenza viene dichiarata già dal prefisso “i” delle rispettive denominazioni. L'accezione sottesa al titolo del biopic, però, è tutt'altro che positiva se la macchina degrada a specchio d'una individualità deformata e deformante. Come implicitamente suggerito dal monito conclusivo, l'immagine di Jobs riflessa nello schermo nero d'uno dei suoi apparecchi potrebbe essere interscambiabile con quella di chi li ha mitizzati sin'a ergerli a totem del nuovo millennio, poiché non si danno idoli senza soggetti idolatranti e viceversa. Alla parte critica, quindi, si giustappone l'autocritica fin tanto da divenire l'elemento più rilevante dell'opera di Gibney, già in precedenza impegnato nell'indagare fenomeni di fanatismo (cfr. Going Clear: Scientology e la Prigione della fede).
Passando dal “campo lungo” delle masse d'adepti allo “zoom” su coloro ch'hanno vissuto a stretto contatto con Jobs, ne viene fuori una descrizione densa di contraddizioni, chiaroscuri e antinomie. Tuttavia a colpire più nel profondo è l'ossimorica commistione d'affetto e biasimo ch'emerge dalle parole di congiunti, amici e collaboratori, sui quali si sposta l'asse dell'attenzione mentre nel contempo viene quasi eclissato il personaggio principale. A ben vedere, ci s'accorge che tale intreccio narrativo non è incoerente rispetto al sardonico destino d'un uomo, la cui crescente megalomania, protesa verso una distorta idea di purezza, ha fatto il paio con un inesorabile e progressivo rimpicciolimento fisico. Che sia d'esempio ai cineasti che si cimentano nella denuncia d'una qualsivoglia aberrazione (sostanza) senza però adottare antitetiche modalità espressive (forma).
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