Regia di Trey Edward Shults vedi scheda film
E' un maledetto affare di famiglia, quello che succede nel film: sia all'interno della travagliata vicenda di un ritorno in famiglia da parte di una ormai anziana sorella in fuga, che dietro le quinte del film.
La protagonista, Krisha, si chiama davvero così, e per l'esattezza Krisha Fairchild, attrice di razza il cui nipote, Trey Edward Shults (piuttosto buono pure il suo film successivo, l'horror teso ed inquietante "It comes at night" del 2017, ed in attesa, a questo punto ben incalzati, di ritrovarlo nel suo Waves girato in questo 2019) ha voluto sul set per il suo debutto nel lungometraggio, dopo averne girato una precedente medesima versione sotto forma di cortometraggio. Lo stesso regista si ritaglia il ruolo cardine di figlio della protagonista, rendendo a questo punto ancora più stretto il legame familiare tra i due, e forse anche complessa ed urgente la necessità di sviluppare in qualche modo quel devastato rapporto mai coltivato e sempre prematuramente interrotto.
Krisha torna a casa della sorella, invitata a partecipare ad una riunione di famiglia che, già dalla pietanza cardine (un opulento tacchino accuratamente farcito) che la medesima si appresta con tutto l'impegno a preparare, si direbbe la Festa del Ringraziamento.
Ad ogni buon conto, la donna, una sessantenne da cui traspaiono evidenti i tratti di una armoniosa avvenenza giovanile ora sopraffatta dal peso dell'età e da chissà quali altre vicissitudini, si fa convincere a recarsi a casa della sorella minore, per una festa con i molti figli di quest'ultima, il figlio di Krisha da lei "ceduto" alla sorella per poter intraprendere il suo viaggio "curativo"; il cognato scettico e un po' infido, l'anziana madre delle due donne.
Tutto parrebbe andare per il meglio, non ci fossero quelle voci insistenti che tornano a ronzare nella testa della donna, che la fanno sentire come in ostaggio, più che in famiglia, alla mercé di persone che vogliono punirla per le troppe omissioni o il vuoto che la donna ha creato dinanzi a sé per tutti quegli anni.
La situazione, sempre più incandescente, finisce per volgere al peggio, e, nella casa degli affetti disgregati, per Krisha basta un attimo per ricascare nel tranello alcolico che l'ha resa una fuggitiva per quasi la metà della sua vita.
Come qualcuno qui ha correttamente già osservato, in Krisha si respira una tossica atmosfera alcolica e distruttiva, tra i fumi di sigarette perennemente accese, secondo il drammatico processo cerebro-distruttivo che non può non ricordare i personaggi in balia dei propri spettri del cinema di John Cassavetes.
E Krisha (Fairchild), è l'ideale quintessenza di una giunonica - magnifica per espressività e spessore - Gena Rowlands aggiornata e riveduta, con il medesimo tasso alcolico nel sangue, e la medesima, irrefrenabile tentazione a rifugiarvisi per ritrovare quell'ideale inebetimento che aiuta a non pensare al proprio fallimento di donna, madre e capo di una famiglia ormai completamente pregiudicata ed andata a rotoli.
Bello, tragico, meravigliosamente interpretato, Krisha è un dramma da camera capace di attanagliare e di contagiare lo spettatore con tutto il panico da fallimento che fuoriesce da un personaggio tragico come quello della perduta protagonista.
Il film, presentato alla Semaine de la Critique del Festival di Cannes 2014, è stato preceduto da un cortometraggio dal medesimo titolo; quasi una prova, un allenamento di gruppo, prima di dare forma a questa pregnante ed inquietante piece sulla distruzione dei rapporti familiari.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta