Regia di Jacques Audiard vedi scheda film
Uno sguardo che si attacca ai corpi, li segue, si lascia trasportare – pelle, contatti d’epidermide, capelli e pupille, la forma umana si fa mondo, quello abbandonato, da cui si fugge, che continua a vivere e a sprigionarsi dagli sguardi, le parole, i suoni di musiche lontane, da ascoltare, sbronzi, nel cuore della notte, quando i ricordi delle proprie perdite si fanno più dolorosi, immagini mistiche, la calma silenziosa di un elefante – Dheepan si muove nella nuova realtà senza capirla, ironie distanti, rapporti diversi, istantanee dalla banlieu, le case popolari, lo spaccio di sostanze, Dheepan ha trovato lavoro come custode, divide lo spazio dove vive con una donna e una bambina, i ruoli di padre, madre e figlia, senza esserlo. I bisogni del corpo, l’esigenza di un contatto, l’illusione di una famiglia, nuclei umani in cui cercare protezione, si cercano nuovi luoghi in cui avvicinarsi - dialoghi impossibili, quando le emozioni non sanno riconoscersi.
Un solo linguaggio sembra essere universale, quello della violenza. Dheepan lo ha imparato in guerra, nel suo paese. Lo ritrova, cerca di non ascoltarlo e alla fine lo urla con tutta la sua rabbia ed ecco che il cinema di Audiard trova i suoi attimi di sublimazione visiva, nei respiri vitali di Dheepan, nei suoi movimenti in macchina, mentre i proiettili attraversano l’aria, le stesse immagini sembrano trascendere verso una percezione più profonda, essenziale, pura.
Una linea bianca, tracciata sull’asfalto.
Un altro confine, a lasciare ferite.
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