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Dheepan - Una nuova vita

Regia di Jacques Audiard vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Dheepan - Una nuova vita

di ed wood
4 stelle

Oltre ad essere un imbarazzante tonfo con il quale forse Audiard abdica al suo ruolo di regista di punta del cinema francese contemporaneo, "Dheepan" assesta il colpo del KO al residuo di credibilità su cui i festival (almeno quello di Cannes) potevano ancora contare. Con tutto il rispetto e la buona fede che si possono avere nei confronti di una giuria, è dura comprendere i motivi artistici che hanno indotto a premiare questo film come il migliore di un concorso in cui era presente il gioiello "The Lobster", un'opera infinitamente più vitale, creativa, originale. Il film greco è stato risarcito con il Premio della Giuria (???), ma la Palma a "Dheepan" grida ancora vendetta.

 
Guardando le immagini sciatte, maldestre, "qualunquiste" di cui si compone questo film, ci si chiede dove sia finito il regista raffinato di "Tutti i battiti del mio cuore" e "Un sapore di ruggine ed ossa" (tra l'altro: si noti come erano poetici e suggestivi quei titoli rispetto alla banalità di un nome proprio, scelta che è già sintomo di scarsa ispirazione), dove siano finiti quel montaggio nervoso, quella fisicità, quell'attenzione ai dettagli anatomici, quei tic stilistici che significavano il vitalismo disperato dei personaggi, quel realismo di fondo sempre pronto a trasfigurarsi in poesia libera e visionaria, seguendo logiche sentimentali prima ancora che narrative. L'unico problema erano le sceneggiature, troppo pesanti o troppo superficiali, inficiate da personaggi, dialoghi e passaggi troppo "meccanici" o troppo sfocati.
 
Non è rimasto più niente in "Dheepan" dell'autore talentuoso che fu Audiard. L'estro visionario è limitato ad un paio di sogni in cui compare un elefante, a qualche esotismo nel soundscore, ad un assurdo e delirante pre-finale che parodizza "Taxi Driver". Le idee di regia latitano ed il pessimo copione non viene certo in aiuto. Personaggi sprecati (la "figlia"), malamente definiti sul piano psicologico (la "moglie") e su quello ideologico (il protagonista Dheepan), lasciati in balia di conflitti mescolati alla rinfusa e mai messi a fuoco in modo convincente; c'è un passato di militanza politica armata (che emerge pretestuosamente a metà film) e un presente di difficile integrazione sociale (com'è maldestro Audiard nel trattare temi inerenti alle barriere linguistiche, etniche, culturali, annessi alla situazione esplosiva delle banlieues! Si ha la sgradevole sensazione che al regista questi temi in fondo non interessino, o che quantomeno non sia riuscito a prenderli di petto).
 
Lo stesso Audiard afferma che questo film è una "storia d'amore". Ecco, se come riflessione politica il film fallisce miseramente, come melodramma è assolutamente improponibile. Dov'è la passione? Dov'è l'eros? Dov'è l'istinto sessuale animalesco, che pure è una cifra in cui il regista si è trovato a suo agio in passato (specialmente nel film precedente). In un certo senso, Audiard rimane fedele ad alcune coordinate del suo cinema, come i retaggi noir e l'individualismo combattivo di fondo: il problema è che i primi vengono qui malamente declinati in un banale e forzato discorso sulla violenza che ritorna, sul rimosso di una guerra civile che si ripropone sotto forma di guerriglia urbana (rispolverando grossolanamente certi clichè settantiani del tipo "il mio personale Vietnam quotidiano"), mentre il secondo risulta penalizzato dal lacunoso disegno del protagonista, che si trasforma inopinatamente in uno spietato giustiziere bombarolo, precludento quindi l'attendibilità del furore allucinato che guidava i precedenti anti-eroi audardiani.
 
Penalizzato, fra le altre cose, da interpreti deboli, da dialoghi talora pessimi, da dinamiche narrative zoppicanti, da psicologie campate per aria, e infine affossato da uno dei finali più ridicoli, irritanti, irricevibili degli ultimi tempi, "Dheepan" ha pure fatto incazzare quelli dei Cahiers, che hanno individuato in opere come questa la fine del cinema di sinistra francese. Cari "quaderni", qual è il problema di "Dheepan"? Che è di destra, solo perchè rappresenta un immigrato violento? Ma davvero? Non è che magari è semplicemente un film scritto, diretto, montato, fotografato e interpretato male?
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Ultimi commenti

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  2. brian77
    di brian77

    Carissimo, non voglio certo tirarla alle lunghe, anche perché Audiard non è un regista che mi interessi moltissimo. Credo però che le differenze non siano di gusti, ma di concezioni diverse. Io ad esempio non potrei mai accettare la distinzione tra cinema di prosa e cinema di poesia, mi sembra una cosa tutta esteriore che non c'entra con quello che vedo. La contrapposizione artificiosa e un po' ridicola tra un cinema commerciale e uno presunto d'essai sappiamo che è solo un'imposizione mercantile di distributori ed esercenti per caratterizzare il loro prodotto e il loro consumatore ed è evidente che non ha nulla a che fare coi film, ma nel caso di prosa/poesia proprio ce l'andiamo a cercare... Ho appena rivisto Ozu: cos'è, cinema di prosa o di poesia? Ozu racconta eh, non c'è una sola inquadratura che non sia intimamente narrativa. E John Ford cos'è, cinema di prosa o di poesia? Tra l'altro nel Gusto del sakè ci sono momenti estremamente fordiani, nonostante le distanze geografiche e culturali tra i due. Chissà se è prosa o poesia.

    1. (spopola) 1726792
      di (spopola) 1726792

      L'esistenza di un cinema di prosa e di un cinema di poesia, fu una classificazione (definizione) fatta a suo tempo da Pasolini che non intendeva assolutamente fare così una differenza di "qualità", ma di metodo di scrittura (dove per metodo di scrittura si deve intendere il differente utilizzo della macchina da presa e la "percezione" anche inconscia della sua presenza che avverte lo spettatore). Pasolini , riferendosi al modo in cui vengono effettuate le riprese, rispose così a una precisa domanda nel corso di una intervista. Entrambe le modalità possono - secondo il suo concetto - possono dunque portare a validissimi risultati, e per rendere più chiara la sua tesi indicò anche a titolo di esempio anche alcuni nomi di registi importanti e di valore che a suo dire erano ascrivibili alla prima o alla seconda categoria per dirimere ogni dubbio sul fatto che si trattasse di una definizione discriminatoria atta ad indicare cinema buono e cinema meno buono.

    2. michemar
      di michemar

      Spopola: sei unico! Grazie.

    3. cherubino
      di cherubino

      Scusa Valerio, il senso preciso della distinzione fra cinema di prosa e cinema di poesia non mi è del tutto chiaro; ma se invece lo conoscessi, secondo te classificherei il Cinema di Pasolini in una delle due categorie? O non in entrambe, come penso ora, prima di rivedermi Mamma Roma?
      Grazie, un saluto. Franco

    4. (spopola) 1726792
      di (spopola) 1726792

      Provo a risponderti citando questo articolo di Massimiliano Rubbi: " Entro le teorie ontologiche, Pasolini costituisce una figura atipica, e la sua teorizzazione deriva dagli Elementi di semiologia di Barthes (1964), rifacendosi a Longhi (teoria dell’arte visiva) e alla “Stilkritik” di Auerbach e Contini; Deleuze ripropone molti temi di Pasolini con un vigore filosofico assente in quest’ultimo. I 2 saggi fondamentali sono “Il cinema di poesia” (1965) e “La lingua scritta dell’azione” (1966; “della realtà” nell’edizione 1972), relazioni presentate al festival di Pesaro in cui si afferma la semiologia francese strutturalista; il primo saggio si rifà al formalismo russo e alla determinazione della categoria di “letterarietà” con la contrapposizione “lingua di poesia” e “lingua di prosa” (Sklovskij), e Pasolini sostiene l’irrazionalità del cinema che lo oppone alla razionalità della prosa, e perciò condanna la “narrazione” a favore della “espressione”; il cinema è pregrammaticale e preistorico, ma è stato piegato alle esigenze della narrazione, e comunque mantiene la forza eversiva dell’universo espressivo non codificato; la “poesia” del cinema si realizza mediante l’inclusione della soggettività del poeta, compiuta dalla “soggettiva libera indiretta” analoga al “discorso libero indiretto” letterario, un’inquadratura che caratterizza il punto di vista di un personaggio (“soggettiva”) ma stabilisce una programmatica indistinzione tra autore e personaggio; il cinema di poesia è stabilito dall’uso pretestuale della soggettiva libera indiretta (Deserto rosso di Antonioni), ossia dallo scambio di punti di vista tra autore e personaggio, con lo svuotamento dell’inquadratura dai personaggi e un’attenzione ai dettagli non contestualizzati come soggettiva dei personaggi, in un’antinarratività che definisce la “lingua di poesia” come forza centrifuga rispetto alla “chiusura di senso” narrativa.". Il discorso che pasolini fa è comunque molto complesso articolato (riporto solo questo piccolo stralcio che forse chiarisce ancora meglio ciò che ha inteso dire: "Tutto questo dovrebbe, in conclusione, far pensare che la lingua del cinema sia fondamentalmente una «lingua di poesia». Invece, storicamente, in concreto, dopo alcuni tentativi, subito troncati, all'epoca delle origini, la tradizione cinematografica che si è for­mata sembra essere quella di una «lingua della prosa», o almeno di una «lingua della prosa narrativa».
      Questo è vero, ma, come vedremo, si tratta di una prosa parti­colare e surrettizia: perché l'elemento fondamentalmente irrazio­nalistico del cinema è ineliminabile. La realtà è che il cinema nel momento stesso in cui si è posto come «tecnica» o «genere» nuovo d'espressione, si è posto anche come nuova tecnica o genere di spettacolo d'evasione: con una quantità di consumatori inimma­ginabile per tutte le altre forme espressive. Questo ha voluto dire che esso ha subito una violentazione del resto abbastanza preve­dibile e inevitabile. Ossia: tutti i suoi elementi irrazionalistici, onirici, elementari e barbarici, sono stati tenuti sotto il livello della coscienza: sono stati cioè sfruttati come elemento inconscio di urto e di persuasione: e sopra questo «monstrum» ipnotico che è sem­pre un film, è stata costruita rapidamente quella convenzione nar­rativa che ha fornito materia di inutili e pseudo-critici paragoni col teatro e il romanzo. Tale convenzione narrativa appartiene indubbiamente, per analogia, alla lingua della comunicazione prosastica: ma con tale lingua essa ha in comune solo l'aspetto esteriore - i procedimenti logici e illustrativi - mentre manca di un elemento sostanziale della «lingua della prosa»: la razionalità. Il suo fonda­mento è quel sotto-film mitico e infantile, che, per la natura stessa del cinema, scorre sotto ogni film commerciale anche non indegno, cioè abbastanza adulto civicamente e esteticamente.
      (Tuttavia - come vedremo più avanti - anche i film d'arte hanno adottato come loro lingua specifica questa «lingua della prosa»: questa convenzione narrativa priva di punte espressive, impressionistiche, espressionistiche ecc.)" L'intero pezzo lo puoi comunqu recuperare digitando il link http://pasolinipuntonet.blogspot.it/2012/05/il-cinema-di-poesia-di-pier-paolo.html
      Per quel che mi riguarda comunque. considererei l'opera di Pasolini sopratttutto "cinema di poesia" (ma con qualche eccezione)

  3. cherubino
    di cherubino

    Perdonami Valerio, la mia mancanza di basi non meritava tanto impegno da parte tua... Figurati! Gia' le differenze fra prosa e poesia intuisco che siano ben più profonde di quelle banali che si porta dietro uno come me che non ha fatto studi classici. Ciò che mi è da sempre chiaro che fra esse non ci sia un diverso giudizio di valore: cisono capolavori di prosa così come di poesia e in entrambi i campi opere di scarso rilievo.
    Ho cercato di capire, ma il mio istinto ignorante tende a farmi pensare che nel cinema l'intera opera di un autore la si possa definire dell'una o dell'altra categoria "per prevalenza"; a maggior ragione, con riguardo ad un singolofilm: in tanti penso coesistano prosa e poesia.
    Mi raccomando Valerio, non spendere altre parole per me su questo argomento!
    Non si può innalzare la propia cultura, sia pure autorevolmente aiutati, senza essere pronti a far molta fatica...
    Grazie e ancora grazie. Ciao. Franco

  4. cherubino
    di cherubino

    Scusa anche qualche errore di battitura.

  5. shadgie
    di shadgie

    non ho ancora metabolizzato completamente questo film, che forse non ho percepito come "intenso"...appena dopo la visione, però, mi sembrava quasi un capolavoro. l'ho visto infatti in un'arena estiva dopo una delle pellicole più ridicole su cui mi è capitato di posare gli occhi. Mi è sembrato, pur avendo pagato un ulteriore biglietto (4 euro a film), di essere stata almeno in parte ripagata delle ore perse in precedenza. Riguardo alla tua recensione sono d'accordo su alcuni punti, su altri no, ma vedo che ne avete già ampiamente discusso mesi fa. arrivo con imperdonabile ritardo, complice la mia sempre più risicata frequenza delle sale. p.s. The Lobster è sembrato un po' pretenzioso anche a me, ma comunque degno d'interesse. E comunque non vedo grandi punti di contatto tra i due film, se non il tema generico dell'"umanità alla deriva"

  6. ezio
    di ezio

    pur considerando il film di una attualita' estrema,di una situazione di vivere quotidiana molto colorita ,devo concludere che l'opera mi pare un tantino destabilizzante e alla quale gli preferisco (del regista) i suoi lavori precedenti.grazie del commento.

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