Regia di Ingmar Bergman vedi scheda film
L'azione si svolge nella Berlino weimariana del 1923, dove l'inflazione è alle stelle e si vive in un clima di paura generalizzata e crescenti tensioni, e ha per protagonista l'ebreo nato in America ma di origine lettone Abel Rosenberg (David Carradine), membro di una compagnia di acrobati, di cui fa parte il fratello che, nell'incipit, viene ritrovato morto in una stanza d'albergo, e la moglie di lui, Manuela (Liv Ullmann), che si arrangia passando dal fare la ballerina di cabaret alla prostituta. La vicenda diventa molto intricata, i personaggi si moltiplicano, tra ispettori che non mollano la presa (Gert Fröbe), 'scienziati pazzi' (Heinz Bennent), ed in essa si annidano già i prodromi di quello che sarà, da lì a dieci anni, l'avvento del Nazismo.
'L'uovo del serpente' non può non risentire delle vicissitudini personali toccate al regista, alle prese con le soffocanti maglie del fisco svedese, e perciò anche questo suo lavoro, in apparenza un corpus staccato dalla gran parte della sua produzione, ha una componente autobiografica e il protagonista Abel, braccato a destra e a manca, può essere senz'altro visto come un ennesimo alter ego del cineasta.
Il film comunque non va inserito tra i migliori nella sua filmografia, che stando ai soli lungometraggi per il grande schermo tocca quota 36, per il fatto che riesce nell'intento di ricostruire quell'atmosfera malsana e generalizzata di smarrimento, cupezza, violenza che si viveva nella Germania di allora, grazie anche ad un uso di colori scuri e molto forti, sempre per merito di Sven Nykvist, ma il soggetto si perde ben presto in un concatenamento di fatti troppo elaborati che non fanno altro che generare confusione e in una miriade di personaggi non tutti messi bene a fuoco, alcuni di loro ben delineati, altri appena abbozzati e francamente superflui, tutti questi elementi, messi in combinazione, danno vita ad un film dalla narrazione discontinua, in cui si passa da sequenze folgoranti - l'inizio con la voce fuori campo che introduce luogo e periodo storici e poi presenta il protagonista che si aggira per la città fino a ritrovare il corpo senza vita del fratello; la scena, emblematica, sempre con Abel che, sentendosi braccato, tenta di scappare da qualsiasi parte ma trova ogni volta qualcuno o qualcosa (inferriate, sbarre) a sbarrargli la strada è sintomatica della futura condizione del popolo ebraico - ad altre tirate troppo per le lunghe e molto dialogate.
L'eterogeneo cast funziona anch'esso a strappi: David Carradine è stato in gran parte criticato ma la sua prova è positiva, poiché ben rende lo spaesamento di Abel, sballottato da eventi più grandi di lui; Liv Ullmann, al contrario, per una volta, alle prese con la personalità sfuggente di Manuela, non convince appieno; buone invece le caratterizzazioni di Gert Fröbe, nei panni del tenace ispettore, di Heinz Bennent, il medico precursore di Mengele, mentre l'apparizione di James Whitmore, un classico prete bergmaniano che ha perso la fede, è appena un cameo.
In un dialogo tra l'ispettore e Abel si sente nominare un indirizzo dai chiari intenti autoironici, vale a dire Bergmanstrasse, n.35!
Nel complesso un film cupo e claustrofobico ma irrisolto.
Voto: 6.
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