Regia di Gaspar Noé vedi scheda film
Enter the Love Hotel.
Il modellino del Love Hotel di Enter the Void è sulla parete accanto al letto di Murphy. Sulle pareti della sua vecchia abitazione stanno i poster de L'occhio che uccide di Powell e Pressburger, Taxi Driver di Martin Scorsese, Birth of a Nation di David Wark Griffith, Freaks di Tod Browning e Salò di Pier Paolo Pasolini. Il film preferito di Murphy è 2001: Odissea nello Spazio di Stanley Kubrick; lui e Electra, la donna della sua vita, passeggiano sotto i ponti alla maniera di Maria Schneider e Marlon Brando in Ultimo Tango a Parigi di Bernardo Bertolucci, e il montaggio, con i suoi stacchi e le sue movenze figurativamente antropocentriche, sono un'ovvia citazione al primo Jean-Luc Godard e ad A bout de souffle. Può bastare?
Love è un abisso nei sensi del Cinema, nei suoi moti più sensuali e ineffabili, volendo anche un'indagine sui motori dell'esistenza e dello sguardo. Il protagonista, Murphy, evidente padre/alter ego di Gaspar Noé, pronuncia le parole fondamentali dell'intera operazione: "Voglio realizzare film in cui ci siano soprattutto amore, sperma e lacrime. Sono questi l'essenza della vita, i film dovrebbero contenerli, dovrebbero esserne costituiti". L'intento autobiografico/metacinematografico è evidente e indubbio, e Noé ci sguazza appassionatamente (con la stessa sequenza della penetrazione con pdv intravaginale del finale di Enter the Void), ma è proprio questo amore per l'Arte e per la passione che la costituisce a salvare Love dall'autoreferenzialità più bieca. In un primo momento è uno di quei film in cui bisogna "stare al gioco", ma il dubbio su questo scema quando finalmente, come non era successo nei precedenti film di Noé, l'essere umano e l'esperienza di vita convivono e travalicano lo sperimentalismo. Noé stringe l'inquadratura sui suoi personaggi, richiama l'attenzione su quello che vuole lui, l'amore e il desiderio, il ricordo e il "tempo che distrugge tutto" che è un po' un suo leitmotiv, ed è dunque con questi punti fissi che Love si dispiega in tutta la sua forza e il suo coraggio.
Si direbbe un film monotematico, se si considerasse la vita monotematica. Checché ne dicano i detrattori, non possiamo fare a meno di vivere con questa pesante corazza che ci portiamo appresso e che si chiama organismo, dunque è essa stessa fautrice di vita e di amore, non se ne può prescindere. La vita stessa (ricorrente anche l'idea della gravidanza) è frutto di questa passione, orribilmente sporcata dalla prurigine voyeur. Il miracolo di Love di Gaspar Noé è di ripulire l'iconografia dell'erotismo hard al cinema, e di trasformarla in un'espressione di incondiziato sentimento amoroso. L'amore tout court è il senso e il completamento di ogni ricerca, e l'onnipresente musica trasformerebbe tutto in qualcosa di quasi sentimentalistico se non ci fossimo dentro, e tutta la vita stessa dei protagonisti non diventasse un trip in cui affogare come nelle spirali temporali di Irreversible. E' infatti un modo di vedere la distruzione del tempo, quella di Noé nel ripercorrere le storie d'amore e di vita alla rovescia (Irreversible, e in parallelo le esperienze oziana di CinquePerDue e nolaniana di Memento), una scelta non originale ma azzeccata, con cui il Cinema fa da rottura contro l'eterno ritorno delle cose, contro i cicli, e rende qualcosa unico e irripetibile. Nonostante gli sperimentalismi, che dirigerebbero Love in una direzione quasi postmodernista, è il binomio Cinema-Vita ad interessare Noé, un binomio che più classico non si potrebbe. E non si può dunque non citare La vie d'Adèle di Abdellatif Kechiche, che pur con strumenti diversi, e con una bellezza meno ricercata ma altrettanto se non più efficace, raccontava i costrutti esistenziali fondamentali di una giovane ragazza investita dall'amore, dalla passione e dalla delusione.
In Love lo spingersi oltre, lo sperimentare la sensazione, non ha la languida morbosità dell'orgia di Eyes Wide Shut, ma piuttosto il fascino perverso e attraente, ambiguo, degli oblii lynchani, se non la gioia mortuaria, scevra di ogni ridondanza, dell'Impero dei sensi di Nagisa Oshima. "Se ami, sei tu il perdente", dice una ragazza a Murphy. E una volta che si viene lasciati, e una cosa va male, certo la legge di Murphy non incoraggia. Eppure, il finale, in cui avvengono importanti ricongiungimenti, in cui qualsiasi errore chiede di essere perdonato e il passato viene pregato di tornare indietro, è il fatto di aver vissuto ad essere l'unica ancora di salvezza. Se si ha amato, e si soffre, si ha vissuto. Sarà lezioso, ma non ovvio né scontato, vuole dirci Noé. Infatti Love funziona in quanto corpo, organismo, alternativa realtà, che respira e soffre ed eiacula ad ogni jump cut. O, se vogliamo rimanere in tema, ad ogni intervallo nero fra un'immagine e l'altra, si alternano, anatomiche, sistole e diastole.
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