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L'isola delle demoniache - The Demoniacs

Regia di Jean Rollin vedi scheda film

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La recensione su L'isola delle demoniache - The Demoniacs

di undying
4 stelle

Una delle svariate, indecifrabili, pellicole di Jean Rollin prima maniera. La componente (femminile) erotica, nelle intenzioni dell'autore fondamentale, cede il posto alla improvvisata messa in scena. Sceneggiatura inesistente per un film che, di "demoniaco", ha ben poco.

 

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L'isola delle demoniache - The Demoniacs (1974): locandina

 

Il capitano (John Rico), la sua compagna Tina (Joëlle Coeur), e altri due pirati, mentre aprono un forziere, s'imbattono in due naufraghe. Dopo averne violentata una, uccidono di botte le giovani ragazze. Più tardi, in un ostello, il capitano ha la visione dei corpi massacrati delle vittime. Le martiri, misteriosamente tornate in vita, riparano in una chiesa diroccata, abbandonata da anni per via di macabre leggende.

 

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"Un film espressionista di Jean Rollin", annunciano i titoli di testa. Per fortuna che l'espressionismo è ben altra cosa. Qui, semmai, siamo dalle parti del pressapochismo che regna sovrano a cominciare da una sceneggiatura improponibile (e probabilmente inesistente), proseguendo con attori ingaggiati per caso sul set e -per finire- con dialoghi che, per quanto ridotti, si limitano a reiterate banalità. Rollin, per quanto regista accidentale, ha moltissimi estimatori anche se l'intera sua filmografia si basa su suggestioni visive impostate senza nessun nesso logico. Tema portante, nello stile del regista, dovrebbe essere qui l'erotismo. La chioma pubica di Joëlle Coeur ci ricorda che siamo a metà Anni '70, epoca in cui la depilazione era un tabù. Nonostante l'ampia dose di nudo, proposto da attrici per l'epoca decisamente attraenti, Rollin riesce ad azzerare anche la sensualità imbastendo siparietti ben più comici che erotici. La violenza -nelle intenzioni dell'autore- piuttosto estrema, viene edulcorata da effetti mediocri, con spargimento di sangue dall'evidente colorazione inadatta. A difesa di tanto inutile metraggio (quasi cento minuti) si può notare una certa attenzione alle immagini e ai punti macchina, con momenti di alta qualità di messa in scena (solo in esterni). Le scenografie degli interni, con presenza di un ostello/bordello arredato con pipistrelli e scheletri umani (!), contribuiscono a rendere pericolosamente approssimativa la realizzazione.

 

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In un contesto di anarchica trama, con morti che tornano a vivere senza alcuna spiegazione, Rollin opta per dare un taglio sinistro (politicamente) al girato sia insistendo sui nudi, sia inserendo in un ruolo indecifrabile un pagliaccio e una sorta di stregone barbuto, con look da figlio dei fiori. Se si riesce a giungere al termine, ed è impresa di non poco conto, il finale si mantiene sul livello di totale assurdità, vero elemento che domina dall'inizio alla fine del film. Da segnalare anche un accompagnamento sonoro al limite del grottesco, spesso più adatto ad una comica di Stanlio e Ollio che a un film espressionista/pressapochista/rolliniano. Titolo (s)cult, da palinsesto "fuori orario" per una esperienza di visione al limite del delirante.

 

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