Regia di Massimo Ivan Falsetta vedi scheda film
Docufiction o documentario pop, per sposare le parole degli autori, sanamente eccentrico, senza militanze o didascalie, piuttosto con lo spirito dell’elegia (l’intento è «generare nostalgia per un periodo che chi racconta non ha vissuto») e i volti e le musiche dei Rockets, a timbrare un immaginario a cavallo tra i 70 e gli 80. Che vive e pulsa della sua forza evocativa (con la realtà sostituita dalla sua stilizzazione), sottolineata da una messa in scena che va verso il road movie e la fantascienza visionaria di Diabolik. Le testimonianze dei protagonisti delle radio libere calabresi - apripista di quel sottobosco magmatico e spontaneista successivo alla “liberazione” dell’etere, sancita dalla Corte costituzionale nel 1976 - vengono scandite attraverso l’indagine di un’agente della “censura futuribile” (Barbara Cambrea, troppo ingessata nel ruolo) e gli interventi di una speaker radiofonica. Una successione di volti, strade, colori, retrofuturismi, aperture liminari che tengono in piedi una forma che non smette mai di specchiarsi in se stessa, come a volerci ricordare ossessivamente che non stiamo assistendo al più classico dei documentari. Ma il gioco alla lunga stanca e i “temi” - le potenzialità libertarie della radio, il valore culturale della musica - sono spuntati, senza storicizzazione o un discorso teorico sul movimento e sulla sua eredità storica. Magari da cercare in quel web un po’ retoricamente messo fuori dalla porta all’inizio della narrazione.
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