Regia di David Hayman vedi scheda film
Film di quelli che vogliono a tutti i costi essere "arty" e alla fine risultano solo pretenziosi. Rivisto oggi sembra assai più datato di quanto non sia in realtà, eppure - nonostante i non pochi difetti - ha un certo fascino. Da vedere sicuramente per l'interpretazione superba di un giovane, ma già dotatissimo, Iain Glen.
Film d'esordio da regista dell'attore scozzese David Hayman. All'epoca fu ben accolto nel Regno Unito, ma rimase praticamente sconosciuto qui in Italia (e, suppongo, anche nel resto del mondo), nonostante la presentazione al Festival di Berlino e l'Orso d'argento assegnato meritatamente al suo protagonista, Iain Glen.
Al centro della pellicola c'è la storia (vera) del detenuto Larry Winters, condannato a soli vent'anni all'ergastolo per l'omicidio di un barista a Londra. Winters è stato uno dei partecipanti all'esperimento carcerario portato avanti a partire dagli anni '70 nell'unità speciale del penitenziario di Barlinnie, il più grande della Scozia, nel tentativo di "umanizzare" il regime di detenzione e il film ci catapulta dentro quella che è stata la sua ultima notte. Una notte di allucinazioni causate da un cocktail di farmaci, che lo porterà alla morte in cella a soli 34 anni.
La narrazione interseca diversi piani temporali e seguire la vicenda, per chi non abbia una conoscenza pregressa dei fatti, non è facile. Ancora più arduo è comprendere il ruolo giocato dalla religione, se non si ha contezza del fatto che Glasgow, città d'origine di Winters, è stata per anni divisa da un'aspra rivalità (settarismo) tra cattolici e protestanti. La non linearità del racconto riflette l'affastellarsi di visioni e ricordi nella mente del protagonista durante lo stato allucinatorio, ma il passaggio da un piano temporale all'altro manca di fluidità.
L'opera denuncia fortemente la provenienza teatrale di Hayman e risulta spesso piatta e macchinosa dal punto di vista visivo. La regia ha chiaramente aspirazioni "alte" e "sperimentali", ma non è attrezzata per raggiungerle e finisce per essere più che altro pretenziosa. L'aspetto generale della pellicola è quello di un film non solo ambientato per lo più negli anni '70, ma addirittura girato in quel periodo. Che l'effetto sia voluto o meno, rivisto oggi il film appare comunque ben più datato della sua età. Gli 85' di durata, però, scorrono rapidamente e nonostante i difetti Silent Scream è un'opera di un certo fascino, che durante la visione in più di un punto dà l'impressione che lo Sheridan di Nel nome del Padre (1994) e, soprattutto, il McQueen di Hunger (2008) non fossero ignari dell'esistenza del film di Hayman.
Altra pecca del film è quella di parteggiare eccessivamente per il protagonista, che viene presentato come una specie di bravo ragazzo finito sulla cattiva strada. Winters, in realtà, pur essendo dotato di un'intelligenza ben superiore alla media, soffriva probabilmente fin dall'infanzia di problemi psichici, che lo rendevano insofferente all'autorirà e incline alla violenza.
Non mancano, tuttavia, alcuni pregi: la capacità di trasmettere un reale senso di claustrofobia nelle scene carcerarie e la direzione degli attori. La recitazione, in realtà, è il vero valore aggiunto della pellicola. Nel ruolo di Larry, Iain Glen regala un'interpretazione eccellente, che è al contempo fisica e interiorizzata, piena di sfumature e dettagli e assolutamente toccante. Una performance che è una delle migliori interpretazioni maschili degli anni '90 e spiace davvero che un talento del genere non sia riuscito a trovare sul grande schermo la fortuna che avrebbe senz'altro meritato.
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