Regia di King Vidor vedi scheda film
Un western classico che più classico non si può, con un Kirk Douglas spontaneo e in gran forma.
Un Kirk Douglas brillante e scanzonato e alcuni momenti di ispirata regia salvano questo western di King Vidor, nostalgico e un po’ datato, ma non privo di scene indovinate. La nostalgia è rivolta all’epoca in cui gli spazi della Frontiera erano liberi e a disposizione del più forte o del primo arrivato, prima dell’avvento del filo spinato, che trasformò per sempre il modo di allevare bestiame, non senza lasciare dietro di sé una scia di sangue nell’intento di delimitare i propri territori. All’interno delle case più ricche s’insediano i primi bagni, un’idea venuta dall’Est, che lascia increduli e sbigottiti i cowboys abituati a fare ogni cosa all’aria aperta. Se non ricordo male, il tema viene evocato in una scena di “Il mio nome è nessuno” di Tonino Valerii del 1973, in un saporito dialogo tra Henry Fonda e Terence Hill. La ferrovia è già arrivata, ma del treno si ode solo qualche fischio in lontananza. Anche le splendide riprese di mandrie sterminate, guidate dalle cavalcate e dai colpi di pistola, indicano la fine di un’epoca. Sceneggiatura e caratterizzazione dei personaggi non si spingono oltre un dignitoso rispetto delle regole del gioco da osservare quando si realizza un film western volutamente “classico”. La descrizione del protagonista punta più sull’estro, il fascino e la spontaneità di Kirk Douglas che su una qualsivoglia introspezione psicologica. Si tratta persino di una figura contraddittoria. L’uomo sembra innamorarsi di una donna, ma poi la combatte, lotta contro il filo spinato e finisce con il costruire chilometri di recinzioni... Pazienza. Resta comunque un gradevole prodotto di genere e d’epoca.
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