Regia di Mimmo Calopresti vedi scheda film
Gil, Vinz, Saro. Nomi di battaglia di una gioventù perduta, quella della prima generazione di famiglie venute dal sud al profondo nord, che in Uno per tutti di Mimmo Calopresti non è la Milano dell’omonimo romanzo di Gaetano Savatteri (Sellerio) dell’ultima coda del miracolo economico, ma Trieste (c’è il sostegno di Friuli-Venezia Giulia), con le vestigia di città industriale. Il film si muove sui due piani della storia dei tre protagonisti, che da ragazzi giocavano alla roulette russa dopo aver visto Il cacciatore al cinema, e che si rincontrano trent’anni dopo. Ora è il figlio di uno dei tre ad averla fatta grossa, riducendo in fin di vita un suo coetaneo. Inevitabili quindi i flashback che, nel limitarsi a raccontare solo un episodio di quella adolescenza, non riescono a restituirne le atmosfere, il contesto sociale e il forte legame amicale. Così, quando vediamo le dinamiche malate dei tre personaggi da adulti, interpretati da Fabrizio Ferracane, Thomas Trabacchi e Giorgio Panariello (che, a sorpresa, nel ruolo del poliziotto è il più credibile), non riusciamo a comprenderne appieno la portata drammatica. Accanto a loro, Isabella Ferrari con inflessione triestina, diretta da Calopresti che ha pensato di essere Brecht utilizzando l’effetto di straniamento del suo stesso cameo, oltre che degli attor giovani e delle musiche giustapposte. Il risultato è un album di figurine sbiadite che non racconta né l’Italia di ieri, né quella di oggi.
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