Regia di Fred Zinnemann vedi scheda film
Storia di una Grande Anima.
L’episodio storico del martirio di Thomas More è noto. Vederlo rappresentato su pellicola lascia però senza fiato. L’interpretazione di Paul Scofield impressiona soprattutto per la serenità, la semplicità e la calma, accompagnate ad una fibra morale di diamante. E in effetti la tragedia di San Tommaso Moro è pari solo alla serenità con cui l’ha affrontata: la tranquillità di un uomo che sa di aver fatto la scelta giusta, che nessun calcolo politico potrà mai deviare. Thomas More non si piega al Potere e ai suoi miserabili lacché, e nemmeno dà mostra di una qualche sofferenza nel suo non piegarsi: non gli costa assolutamente nulla, il prezzo da pagare è ben poca cosa se il premio è la prospettiva della salvezza dell’anima. Questi sono concetti che all’uomo 4.0 con le unghie imbellettate con lo smalto di Fedez possono apparire astrusi ed inconcepibili, se non folli, ma per una Grande Anima come Thomas More sono immediati e scontati. L’agire politico di More sgorga naturalmente dalla logica, e dalla legge naturale che della logica è l’equivalente etico. L’utile, il vantaggio, la conservazione stessa della vita restano al di fuori dell’orizzonte morale di More.
Si potrebbe obiettare che si annida dell’orgoglio nel martirio: ma More assicura che se solo potesse, si riunirebbe all’istante con la sua famiglia. Thomas More non cerca il martirio, quantunque questo non lo preoccupi, non patisce il suo destino per indispettire il potente, che rispetta in quanto suo sovrano, e non intende accattivarsi il giudizio storico dei posteri, che non gli interessa in quanto cosa del Mondo e non di Dio. Tutto ciò è un sottoprodotto, un cascame secondario, totalmente a valle dell’uomo san Tommaso Moro. Egli antepone alle imposizioni del mondo le imposizioni di Dio e della propria coscienza. Vivere piegandosi a compiere un’azione contro Dio e contro se stesso, sarebbe un rimpianto centuplice rispetto a quello di morire, ma rimanendo se stesso. Sarebbe probabilmente quello il vero morire, in prospettiva escatologica. Qui naturalmente risiede tutto lo iato incolmabile fra l’uomo che concepisce l’essere io come un rimanere fedele fino alla morte ai propri principi morali, e l’uomo moderno e modernista, il “consumo ergo sum”, che concepisce l’essere io in chiave petalosa e arcobaleno, come una risposta ai vizi, ai piaceri e agli istinti più bassi della carne. Una domanda: com’è possibile che una volta l’Oscar al miglior film lo vincessero opere come questa formidabile di Zinnemann e oggi invece viene vinto da abominevoli supercazzole come Everycosa, everychi, everycome? Cosa è andato storto?
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