Regia di James Whale vedi scheda film
Cavalcando l’onda del successo degli horror prodotti dalla Universal agli inizi degli anni’30, da Dracula a Frankenstein, il produttore Carl Laemmle Jr. accettò di investire nuovamente su un soggetto dello scrittore di culto H.G. Wells, già autore della famosa Guerra dei Mondi, affidandone la regia all’estro del britannico regista James Whale.
Dopo il successo di Frankenstein, Whale godeva infatti della stima e della benevolenza di Carl Jr. che gli concedette completa libertà creativa permettendogli di imporre il suo personalissimo stile nei lavori che decide di dirigere.
Dopo Frankestein venne quindi il turno del dramma The Impatient Maiden il cui flop al botteghino lo costrinse però a tornare all’horror con The Old Dark House, pellicola con il quale cominciò a emergere la sua vena umoristica che distinguerà poi molte delle sue opere successive.
Laemmle Jr. intanto spingeva per dare finalmente un seguito al suo Frankenstein ma Whale si dimostrava riluttante a riprenderne in mano la storia (ma sappiamo bene come poi andò a finire) preferendo invece lavorare all’adattamento per il grande schermo del romanzo L’uomo invisibile di H.G. Wells, pioniere del genere fantascientifico.
Alla fine la sceneggiatura definitiva fu scritta da R.C. Sherriff ma fu soltanto l’ultimo di una lunga serie di sceneggiatori chiamati dalla Universal a dare forma cinematografica al romanzo di Wells, in una genesi particolarmente travagliata quanto anche piuttosto bizzarra.
Infatti nello stesso periodo in cui la Universal acquistò i diritti dell’opera di Wells furono acquisiti anche quelli di un altro romanzo, anche questo con protagonista un uomo invisibile, dal titolo The Murder invisible e scritto dall’americano Philip Wyle (autore anche di Quando i mondi si scontrato da cui verrà tratto un film nel 1951).
Non si sa bene per quale motivo i primi lavori sull’Uomo invisibile della Universal presentavano molti più punti in comune con il romanzo di Wyle che non con l’opera originale di Wells, a partire dal protagonista reso completamente folle e megalomane proprio a causa dell’esperimento a cui si è sottoposto per diventare invisibile (aspetto questo che rimane invariata anche nella stesura finale di Sherriff) o come lo stesso protagonista che attaccava New York usando ratti resi invisibile per diffondere la peste in città.
Ed è un bene che Wells non abbia mai dovuto leggere questi adattamenti in quanto per contratto doveva dare la sua approvazione alla sceneggiatura per poter girare la pellicola e allo scrittore inglese fu fatta leggere soltanto quello finale di Sherriff, molto più coerentemente simile al suo romanzo
Gli innovativi effetti speciali furono concepiti con grande semplicità e grande fantasia da John P. Fulton, da anni direttore del “Reparto Trucchi” della Universal da essersi meritato il soprannome di “Il Dottore”, e per simulare gli effetti dell’invisibilità fece uso della complessa tecnica per l’epoca della stampa multipla e del mascherino scorrevole, con le scene del protagonista invisibile girate separatamente da quella con gli altri attori per essere poi successivamente rimontate insieme.
L’attore protagonista girava le sue scene in un set completamente ricoperto di velluto nero e indossava una calzamaglia sempre di colore nero che lo copriva completamente, a parte il volto che veniva invece nascosto da un particolare elmetto, respirando attraverso tubicini nascosti all’interno della calzamaglia, recitando completamente cieco e al buio e con i suoni che venivano fortemente alterati dallo strano elemento che indossava.
La situazione era talmente difficile e stressante che si racconta che l’attore e le controfigure chiamate a sostituirlo abbiano più volte rischiato di svenire in scena.
Nonostante tutta questa serie di problemi il film fu uno straordinario trampolino di lancio per il protagonista Claude Rains in un ruolo che sembra sia stato rifiutato dal grande Boris Karloff proprio all’ultimo minuto, quando la Universal aveva già preparato i cartelloni promozionali con il suo nome stampato sopra (sembra per problemi legati al compenso considerato eccessivo dalla casa di produzione).
E qui, riguardo alla scelta di Rains come suo sostituto, esistono teorie piuttosto discordanti.
C’è chi afferma che Rains sia stato imposto ai capi della Universal proprio dallo stesso regista (e compatriota) Whale, nonostante l’attore si trovasse alla prima prova cinematografica dopo una lunga (e di enorme successo) gavetta teatrale.
Altri dicono che l’attore fu scelto dai piani alti della Universal quando invece Whale insisteva ancora per scritturare Karloff, scartato all’ultimo dai produttori proprio in favore del più economico Rains.
Comunque sia andata mai scelta fu più felice in quanto portò in scena forse l’effetto speciale più importante e fondamentale della pellicola: la sua voce.
Conseguenza di un’infanzia segnata da problemi di dizioni superati dallo studio e dall’impegno di coronare il suo sogno di diventare attore di teatro e, da quanto lui stesso raccontato, della sua esperienza sui campi di battaglia della Prima Guerra mondiale e da un bombardamento con gas che gli procurò la quasi totale perdita della vista da un occhio e le ustioni delle corde vocali e, quindi, il reimparare a parlare praticamente da capo, Claude Rains venne infatti scelto proprio per il suo particolarissimo tono vocale come anche per la sua impostazione dialettica e per la capacità, molto teatrale, di trasmettere con l’intonazione della voce e il suo solo portamento la performance necessaria a dare vita a qualcuno che non può essere visto.
Tra gli altri protagonisti della pellicola, quasi tutti di origine britannica scelti soprattutto dal teatro, l’americana Gloria Stuart (molti la ricorderanno come l’anziana Rose in Titanic di Cameron), Harry Travers e William Harrigan oltre a molti caratteristi, anche di grande valore, come Una O’Connor, Walter Brennan, il debuttante John Carradine e, in un piccolo ruolo, anche Dwight Fray (il Reinfield di Dracula e il Fritz di Frankenstein).
Piccolo gioiello del cinema fantastico con toni da commedia nera, L’uomo invisibile racconta del tentativo, tragicamente riuscito, di uno scienziato incompreso e represso di annullare la visione che ha di se stesso, condizionata dai commenti della società perbenista dell’epoca, per poi riaffermare prepotentemente la sua presenza con una nuova identità, ricorrendo a diverse maschere (le bende, l’impermeabile, un cappello, la vestaglia o un vistoso paio di occhiali), e attraverso la percezione del nulla, ovvero la negazione non solo di se stesso ma anche del paradigma principe proprio della cinematografia: la visibilità.
Il protagonista Griffin apre anche un discorso, iniziato dallo stesso Whale già in Frankenstein, sulle infinite e drammatiche possibilità della scienza di trasformare e modificare il corpo umano, per adattarlo ai propri bisogni ma anche a un mondo che si trasforma con eccessiva rapidità lasciando indietro l’uomo con i suoi limiti in un confronto tra scienza e evoluzione del corpo umano che verrà proseguito in seguito da altri autori (come negli anni’80 soprattutto con le pellicole di David Cronenberg e Shinya Tsukamoto con Tetsuo).
Grazie alla scelta narrativa di iniziare il film in medias res siamo infatti subito all’interno del dramma senza eccessivi preamboli e introduzioni superflue con la scelta coraggiosa di non mostrare mai il protagonista con il suo aspetto, se non soltanto in punto di morte grazie a una serie di fotogrammi sovraesposti che fa comparire gradualmente il “vero” volto di Griffith (ma ormai era poi davvero quello il “suo” vero volto?).
Il film si fa quindi metafore sulla cancellazione dell’umanità attraverso un uomo che, senza le sue bende, non viene visto, è presente ma non viene preso in considerazione e, senza quelle bende o gli indumenti, quella “maschera” che lo rivela agli altri, rimane nudo ed esposto, alienato dai suoi simili e dal mondo e allora si vendica utilizzando la propria invisibilità (intesa non soltanto in senso materialistico) come arma contro chi non lo nota.
E se la maschera ai tempi dell’Antica Grecia era sinonimo di rivelazione di qualcosa di falso o che esiste soltanto nel proprio Io più recondito, nel film di Whale serve invece a rendere tangibile qualcosa di nascosto, di presente ma ignorato (evitato?) dal mondo.
Il protagonista è segnato dal passato di insicurezza economica sua e della sua famiglia e dalla (presunta) inferiorità sociale che gli fanno vivere anche la sua relazione con Flora in modo ansioso, problematico, intralciato psicologicamente dalla soggezione nei confronti del padre e dal suo statuo sociale, che gli impedisce un rapporto sereno con lei ma anche con gli altri finché, grazie alla sua straordinaria scoperta scientifica, spera di riuscire a cambiare in meglio il resto della sua esistenza.
Griffin è dominato da un complesso di inferiorità e dal desiderio di rivincita verso il Dottor Cranley, padre della ragazza, e su tutto il resto del mondo che lo ha in passato umiliato acquisendo un potere oltre ogni loro immaginazione e, quando dovrà scegliere fra l’amore dell’amata e l’aiuto di suo padre a guarirlo o il potere assoluto dettato dalle sue nuove capacità sceglierà infine quest’ultime, decretando così la sua fine.
Anche il regista James Whale veniva da una famiglia di umili origini ed era anche un omosessuale dichiarato, soffrendone moltissimo in un mondo dominato dai pregiudizi come quella degli anni’30, tendente ad emarginare tutto quello che non rientrava in certi canoni civili anche in un mondo, quello di Hollywood, in cui non è mai stato veramente accettato e la sua carriera di successo non in quanto cineasta innovativo ma per la vicinanza “affettiva” con il produttore David Lewis.
Questo aspetto autobiografico del regista si nota tantissimo nel film e nella sua struttura portante individuabile nella vita di un uomo segnato da una pesante insicurezza, dalla solitudine ed emarginato dai molti per il suo essere "diverso".
A causa dell’ostilità della gente, della diffidenza e la malignità dell’uomo colpevole di pregiudizi verso la scienza o i propri simili, e in conseguenza di un duro scontro con i frequentatori della locanda in cui si rifugia in cerca di pace per il proseguo delle sue ricerche, con la mente già danneggiata dagli effetti della droga lo scienziato diventa isterico originando un giudizio inappellabilmente di condanna per tutta la società umana, vendicandosi di tutti i torti subiti e cedendo a una violenza incontrollata e a cadere sotto i colpi della polizia dopo l’ennesima, impossibile fuga (dopo Frankenstein un altro rogo a segnalare l’unico infallibile metro di giustizia dell’uomo) dal mondo o, forse, soprattutto da se stesso.
VOTO: 7,5
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