Regia di Andrea Bianchi vedi scheda film
Un ricco industrialotto si risposa; dopo qualche anno però la magia con la nuova moglie finisce e l'uomo – con grave disperazione di lei, che minaccia di lasciarlo – non riesce più a consumare. Le prova tutte: dalla prostituta all'orgia, finendo soltanto per indispettire la moglie. Che, una volta conosciuto il giovane figlio di primo letto dell'industrialotto, decide di cambiare obiettivo, ma restando in famiglia.
Non è la classica commedia scollacciata che in quegli anni imperversava sui grandi schermi dei cinema di provincia, eppure La moglie di mio padre risulta ammiccante sin dal titolo e i nudi femminili non mancano per nulla. Non è neppure una pellicola dalle maggiori ambizioni, d'altronde, poiché l'analisi psicologica del maschio di mezza età in odore di impotenza si ferma a concetti e ragionamenti tra l'assurdo e il maschilista/fallocentrico. Questo film è soltanto una mediocre commediola virata al drammatico (con finale addirittura tragico, indubbiamente eccessivo) che prende come pretesto la crisi sessuale di un borghese di mezza età per mettere in scena qualche corpo femminile adeguatamente denudato, seguendo una trama a dir molto approssimativa e traballante. Il richiamo della coppia di protagonisti formata da Adolfo Celi e Carroll Baker è decisamente fuorviante, mentre in parti laterali si segnalano Luigi Pistilli, Gabriella Giorgelli, Femi Benussi, Dada Gallotti e Jenny Tamburi. La sceneggiatura è, come il soggetto, firmata da Massimo Felisatti e dal regista Andrea Bianchi; quest'ultimo negli anni Settanta si distinse (per modo di dire) per una serie di prodottini analoghi a questo, confezionati con sufficiente cura ma quasi sempre privi di argomenti e volutamente pruriginosi. Curiosità: pur non avendo alcuna parentela con Roberto Bianchi Montero e (suo figlio) Mario Bianchi, finirà la carriera come entrambi girando per il circuito a luci rosse. 2,5/10.
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