Regia di Danny Boyle vedi scheda film
Luci ed ombre nel raccontare un trentennio di vita del re Mida del pc. L'uomo che ha contribuito più di altri a trasformare le nostre esistenze: la lotta per l'affermazione dei suoi progetti,la vita privata piuttosto contraddittoria, i tentativi ostinati di un angelo custode provvidenziale nel cercare di tenerlo entro i binari della ragionevolezza.
Attraverso il palco vasto, ma comunque pur sempre limitato e chiuso di alcune sale convegni, assistiamo ai momenti preliminari e cruciali, incandescenti di adrenalina e tensione, che consentiranno all’imprenditore informatico Steve Jobs di diventare uno dei Re Mida della rivoluzione tecnologica dagli anni ’80 ad oggi.
Attraverso il lancio di tre prodotti di culto (Macintosh, Next Computer, Imac), fondamentali ed assolutamente strategici ed innovativi, ma non per questo scevri dal possedere una loro sfaccettatura controversa e sfidante, quasi sinistra in quanto poco rispettosa della concorrenza e, più in generale, delle necessità generali del mondo intero (i prodotti di Jobs sono scientemente intesi a non colloquiare col resto della concorrenza), il dinamico regista di Trainspotting Danny Boyle, ci introduce all’interno di un circuito chiuso, quasi soffocante, dove il potere della parola, la capacità di imporsi sugli altri e di crearsi sudditi, oltre che dipendenza verso di sé e verso i propri prodotti, ci fornisce il ritratto del classico uomo dominante: intelligente, acutissimo, astuto e intrigante, oltre che fisicamente seducente (in questo caso Michael Fassbender ci mette del suo per trasformare un indiscutibile appeal in una vera e propria avvenenza fisica, a cui l’originario Jobs certo non poteva arrivare.
Luci ed ombre si alternano al centro di questo despota e re, animato da idee grandiose e ammalianti a favore dell’umanità, in grado di agevolarci e semplificarci la vita, oltre che di renderlo uno degli uomini più potenti ed influenti del pianeta. Nonostante, e qui il film lo sottolinea molto bene, la sua ascesa non sia stata affatto costellata solo da successi, bensì anche da numerosi passi falsi, seppur quasi nascosti o adombrati dal fasto delle vittorie.
Se la regia dinamica e scattante di Boyle dà fiato e respiro alla claustrofobica e quasi teatrale impostazione scenografica, Michael Fassbender, col suo sguardo superiore ed un po’ malizioso, impersona alla perfezione il ruolo del magnate, padre padrone, anzi padre auto-rinnegato e scellerato, che non accetta il suo ruolo neanche quando le percentuali lo affossano alla rassegnazione, e riduce alla fame l’ex amante con bambina, almeno finché non intuisce in quest’ultima l’esistenza di qualche gene di brillantezza in cui egli possa, seppur lontanamente riconoscersi.
Ma il personaggio che domina la scena è senza dubbio quello di Joanna Hoffman, ovvero l’assistente tuttofare di Jobs: donna dinamica, intelligente, scaltra e astuta nel dirigere ogni mossa tattica e dirimere ogni sorta di incidente, diplomatico e non, causato spesso dalla istintiva irrazionalità e impulsività del genio incontenibile e strafottente di Jobs.
Le dà volto una straordinaria Kate Winslet, che rinuncia totalmente a trucchi e suppellettili per concentrarsi solo sul personaggio: donna forte ma anche umana, una sorta di grillo parlante, ovvero di coscienza, che entra magicamente in gioco ogni qual volta la furia incontenibile del genio finisce per valicare i limiti della tolleranza o del buon costume comportamentale umanamente tollerato.
Per l’ottima attrice, quest’anno davvero strepitosa assieme all’altra sua prova eccezionale in The Dressmaker della Moorhouse (visto al TFF 2015), la candidatura come miglior attrice non protagonista agli Oscar è certamente pertinente e doverosa.
Steve Jobs pertanto si presenta come un biopic di media fattura, di certo interessante, dal buon ritmo e piuttosto scorrevole, sagace e piuttosto scaltro nel raffigurare con una apparente verosimiglianza luci ed ombre di una personalità dominante e di certo geniale, nonostante il dinamismo resti concentrato sulla parola e sulla verve attoriale degli interpreti, che finiscono per essere il vero elemento trainante, a volte quasi entusiasmante, se si pensa alla Winslet, della pellicola.
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