Regia di Andrzej Wajda vedi scheda film
La torbida vicenda di un eore del lavoro, usato e gettato, nella Polonia socialista degli anni '50.
Finalmente ho potuto rivedermi questo film, quantunque, dopo tanti anni, me lo ricordassi benissimo. Questo a testimonianza della sua forza d'impatto. Rimane la domanda di come Wajda avesse potuto realizzare una pellicola così scomoda quando era in piedi lo stesso regime comunista responsabile degli oscuri e torbidi eventi che il film mette in scena.
Il regista compie dunque un'appassionata opera d'indagine tra finzione e documentario, la quale scava negli anni dei fondatori, cioè quegli anni '50 che videro la fondazione della nuova Polonia socialista sotto l'egida di Stalin. Il caso dell'eroe del lavoro Mateus Birkut è sì l'oggetto principale dell'indagine, ma non meno importante è tutto lo sfondo sociale e politico in cui la sua vicenda umana si dipana. Dopo la devastazione della guerra, si procedette infatti ad una massiccia operazione di edilizia popolare, sia per dare una casa a chi non ce l'aveva che, in certi casi, per costruire ex-novo (squallide) città operaie attorno a grossi complessi industriali, come Nowa Huta e le acciaierie. L'edificazione di case, oltre che ai bisogni concreti, rispondeva anche all'esigenza di dare credibilità al nuovo Stato e al sistema socialista. Forse questo era addirittura lo scopo primario. Per invogliare gli operai e i braccianti a lavorare con zelo, vennero create le figure degli eroi del lavoro, lavoratori cioè che venivano invitati dal partito a lavorare con ritmi sostenuti e a raggiungere tetti di produttività, per essere poi additati come esempi. In fin dei conti, era una ben studiata operazione "pubblicitaria", con tutta la sua retorica, i suoi eroi di cartapesta, e il disprezzo con cui venivano trattati dalle autorità dietro la facciata dell'esaltazione. Il protagonista è uno di questi eroi del lavoro, il quale, a differenza dei suoi sponsorizzatori, è un uomo puro e sinceramente interessato a dare ai polacchi una casa dignitosa. Più che un comunista, è uno che ama la povera gente. Non è neppure troppo intelligente, ed è ingenuo, tanto da non cogliere la malafede e la falsità delle autorità. Scevro da tutte le logiche di immagine, dal calcolo e dall'opportunismo, o dal desiderio di manipolare un popolo credulone, Birkut si dedica anima e corpo alla missione affidatagli dal partito. Per un certo tempo tutto fila liscio e gode del prestigio sociale e dei privilegi accordatigli, ma ad un certo punto qualcosa s'inceppa: un sabotaggio, un ambiguo collega e amico, la burocrazia e gli uffici che insabbiano le indagini e lo diffidano dal continuare a scavare, infine la caduta in disgrazia. Un elemento interessante del film è che non si capisce bene cosa sia realmente accaduto: chi abbia cioè organizzato il sabotaggio, e che ruolo abbia avuto il collega, se l'ha avuto. In teoria è stato un'azione organizzata dallo spionaggio occidentale, ma le autorità si comportano in modo troppo strano per accettare senza dubbi questa ipotesi. E il mistero s'infittisce con il procedere del film.
Wajda unisce spezzoni di cinegiornali dell'epoca ad altri appositamente girati e "falsificati". La cornice narrativa della giovane regista che gira il suo documentario di diploma regge bene, e costituisce una buona ossatura per unire i diversi episodi della vita di Birkut. Durante le ricerche, una cifra comune unisce tutti gli intervistati: cioè la reticenza a collaborare, e in certi casi l'omertà totale. Qualcuno, tuttavia, accantona gli scrupoli e vuota il sacco davanti alla cinepresa. In ogni caso, è chiaro a tutti che si tratta di argomenti scomodi sepolti nel passato, e che il rivangarli può comportare conseguenze molto negative. Ma l'avere l'occasione per dire finalmente la verità ha pur sempre il suo fascino, nonostante i rischi.
La personalità del protagonista è ben definita, e il personaggio è interpretato in modo convincente dall'attore. Accanto a lui trovano posto alcuni ritratti interessanti: la moglie, la quale finalmente può spurgare il cuore dai sensi di colpa che aveva faticosamente represso per anni, e il padre della ragazza: nei pochi minuti che compare in scena vediamo un'interessante figura di padre vedovo, che, senza sdolcinature, ha un buon rapporto con la figlia. Infine il collega e "amico": un tipo più ambiguo e inafferrabile è difficile immaginare.
Nonostante la sua durata non breve, è una pellicola molto interessante e avvincente, che contribuisce a lacerare il velo di pietoso silenzio col quale ancora oggi molti ritengono sia meglio coprire quarantacinque anni di storia dell'Europa orientale.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta