Regia di Anthony Mann vedi scheda film
L'ultimo dei cinque western girati da Anthony Mann e James Stewart, tratto da un articolo di Thomas Theodore Flynn (prima di diventare giornalista lavorò come marinaio, commesso viaggiatore, tassista e poi impiegato in una ferrovia, incarico da cui venne licenziato perchè "pizzicato" proprio a scrivere) pubblicato sul Saturday Evening Post nel 1954 e trasformato in romanzo l'anno seguente, adattato per lo schermo dal Philip Yordan di Johnny Guitar e da Frank Burt (altro personaggio sui generis nel firmamento degli sceneggiatori hollywoodiani, artista di vaudeville insieme alla moglie, ballerino, flautista, venditore di frigoriferi e, poi, sceneggiatore per cinema, radio e televisione, la cui carriera venne ritratta in Come nacque il nostro amore di Walter Lang). James Stewart è Will Lockhart, capitano dell'esercito in incognito, ossessionato dalla morte del fratello massacrato dagli Apache: giunge nel villaggio di Coronado per scoprire chi sono i mercanti d'armi che riforniscono di fucili gli indiani e scopre che l'intera comunità cittadina è controllata dall'allevatore Alec Waggoman (Donald Crisp), vecchio e quasi cieco, da suo figlio Dave (Alex Nicol), scapestrato ed arrogante e dal fido "luogotenente" Vic (Arthur Kennedy). Lockhart, osteggiato sin dal suo arrivo dagli abitanti del luogo, scoprirà ben presto che dietro i commerci della famiglia Waggoman si cela in realtà, all'insaputa del patriarca Alec, proprio quell'attività di loschi traffici con gli Apache che era venuto a smascherare. Western psicologico di ispirazione shakespeariana (evidenti i richiami a Re Lear), immerso nei paesaggi sterminati ed evocativi, amplificati dal Cinemascope e dai colori pastosi della fotografia di Charles Lang, con cui Mann, seppur con risultati meno suggestivi rispetto, ad esempio, a Lo sperone nudo, trasfigura sentimenti e stati d'animo dei suoi personaggi, L'uomo di Laramie, girato in esterni in New Mexico, trasforma la ricerca interiore (delle proprie radici) ed esteriore (la caccia ai trafficanti d'armi) del suo protagonista in un violento apologo sui mille volti della vendetta e gioca con i topoi classici del genere con ambigua sottigliezza, ribaltando nelle meccaniche drammaturgiche della tragedia familiare la percezione della fascinazione del Bene e del Male. Mann dipinge quell'universo spietato e disperato in cui solo la legge del più forte ha la possibilità di prevalere in una civiltà primitiva in cui la giustizia (il senso di giustizia) appartiene solo ai veri eroi, agli uomini della Frontiera, qui simboleggiati dal Will Lockhart a cui un imponente James Stewart dona sfumature di memorabile suggestione. Un western dal respiro classico, introspettivo, al limite del sadismo nelle sue improvvise esplosioni di violenza, spettacolare e travolgente sin dai toni dolenti dell'incipit silenzioso (altra costante del cinema di Mann, la muta rappresentazione della morte, una quiete dopo la tempesta che raggela con forza irresistibile il dolore per la perdita).
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