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L'uomo di Laramie

Regia di Anthony Mann vedi scheda film

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claudio1959

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su L'uomo di Laramie

di claudio1959
8 stelle

Western obbligatorio

Anthony Mann, Mia Farrow

Sull'orlo della paura (1968): Anthony Mann, Mia Farrow

L’ultimo film  girato insieme tra Anthony Mann e James Stewart è un western crudo e spettacolare nella magnificenza di uno splendente cinemascope che intreccia tante sotto-trame su vendetta e potere ed ha chiare e nitide influenze shakespeariane. Re Lear è la tragedia cui fa riferimento ma l’indagine investigativa di caccia al colpevole ha più di una variante hitchcockiana per me. Will Lockhart è un capitano di cavalleria che ha perso il caro fratello in una imboscata degli indiani: il motivo che lo fa andare da Laramie a Coronado, nel New Mexico, è la vendetta verso chi ha venduto le armi agli Apache. Arrivato nel paese , accadono, una serie di conflitti che riguardano l’eredità del vecchio padrone delle terre Alec Waggoman (Donald Crisp, Oscar miglior attore non protagonista per Com’era verde la mia valle) contesa tra il figlio naturale Dave (Alex Nicol) e quello adottivo Vic (Arthur Kennedy già ammirato in Là dove scende il fiume). A rendere difficili le cose ci sono due figure femminili: la proprietaria dell’emporio Barbara (Cathy O’Donnell) cugina dei Waggoman e sposa promessa a Vic, e Kate proprietaria del ranch Half Moon (Aline MacMahon) ai suoi tempi fidanzata del patriarca. E proprio la nitidezza e nettezza dei ritratti di queste donne forti che fa risaltare la instabilità dei personaggi maschili, inospitali che sono divorati dalle tensioni con la figura del genitore . Il refrain che scandisce il ritmo del film è l’insistenza con cui tutti gli abitanti di Coronado invitano Will Lockhart a fare i bagagli e tornarsene da dove è venuto. Solo che Lockhart è uno che non appartiene ad alcun paese, come afferma in una bellissima scena e, attraverso una via crucis di sacrificio corporale, trascinato da un cavallo, buttato in prigione e sottoposto a tortura riuscira’ alla fine scoprire il vero ed inaspettato colpevole. Anthony Mann mette la firma su ogni inquadratura : usa da maestro il CinemaScope e rappresenta il deserto del New Mexico e le bianche distese delle saline, filma gli interni in modo impressionistico : le linee delle pareti strette della prigione fanno da contrasto con le forme in circolo della cucina di Barbara. Ugualmente simbolico è l’uso del colore: il nero dei carri arsi dal fuoco contrasta con il rosso del fazzoletto attorno al collo di Lochkart, il grigio e il marrone del ranch. Ma è nella violenza delle sequenze che Anthony Mann si spinge più in là rispetto a Lo sperone nudo e Terra lontana: non solo gesti crudeli come sparare sui muli inermi e fare trascinare nemici da cavalli imbizzarriti, ma anche violenze fatte su soggetti indifesi come il vecchio patriarca cieco buttato giù nel burrone, Lochkart sparato sulla mano destra. La sceneggiatura di Philip Yordan e Frank Burt punta sull’evoluzione caratteriale di quelli che saranno i protagonisti del duello finale, Vic e Lochkart. Lo straniero del sogno shakespeariano non viene da fuori, ma è dentro la casa e sta tramando per la successione. Mann inserisce inoltre un’accusa sul traffico d’armi ed evidenzia, come gli Apache siano armati dall’uomo bianco. Di fronte all’odio e vendette, la storia d’amore tra Lochkart e Barbara non può che evaporare , ostacolata dalla precarietà di un nomadismo alla ricerca delle proprie radici . Quando il film usci nelle sale non ebbe successo a causa della trama troppo complessa ed anche perché differiva dall’omonimo racconto di Thomas. T. Flynn proprio per mettere a fuoco le psicologie dei diversi personaggi. Per fortuna L’uomo di Laramie è stato col tempo rivalutato dai critici ed è al giorno d’oggi considerato film fondamentale per il passaggio verso l’estetica del western a cavallo degli anni 60 e 70, prodotto dalla Major Columbia pictures. Per finire voglio dedicare queste mie righe alla memoria di una grande attrice Cathy O’Donnell, bellissima donna, interprete di uno dei film cardine del mio gusto cinefilo: I migliori anni della nostra vita stupendo esordio nel 1946, grazie a William Wiler, donna sfortunata, perché mori’ di un brutto male quando aveva solo 47 anni a Los Angeles nel 1970. In loving  memory dear Cathy.

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