Regia di Takeshi Kitano vedi scheda film
La yakuza ai tempi dell'iPad. Un nostalgico e (quasi) demenziale viaggio nell'inedeguatezza moderna.
Ryuzo è un gangster della Yakuza in pensione che vive il resto della sua vita tranquillo con il figlio Ryuhei.
Un giorno il vecchio gangster riceve una telefonata da un impostore che si spaccia per suo figlio e gli chiede 5 milioni di Yen. Ma Ryuzo scopre il trucco e tramite il detective della polizia Murakami viene a sapere che il responsabile della tentata truffa è un membro della banda Keihin Rengo. Insieme al suo amico fraterno Masa riunisce i suoi ex sette scagnozzi per dare una lezione alla banda ma li ritrova tutti indeboliti dalla vecchiaia. I sette dovranno imparare a superare le loro debolezze se vorranno dimostrare di essere ancora in grado di tenere testa alle nuove generazioni di criminali come la più giovane banda Keihin Rengo.
È un Kitano nostalgico quello di Ryuzo and the Seven Henchmen. Un film che leggendo la sinossi potrebbe sembrare un ulteriore capitolo della fertile messe di storie di yakuza che Kitano ha portato sullo schermo durante la sua carriera. E in effetti è così, la storia è quella, la yakuza c’è, Kitano pure anche se si ritaglia solo la piccola parte di un ispettore di polizia. Solo che a essere protagonisti del film sembrano essere i superstiti dei suoi film di yakuza precedenti. Invecchiati e bolsi, tremolanti, tragicomicamente inadeguati al nuovo che è già avanzato soverchiando ogni regola, ogni rituale estetico e formale, ogni baluardo morale e etico che muoveva le azioni dei vecchi gangster tornati in attività per punire uno sgarro.
Di fatto Ryuzo and the Seven Henchmen è un film comico travestito da film yakuza che spesso esonda nella farsa. I sette pensionati dell’apocalisse, scossi dal tranquillo torpore delle case di riposo dalla chiamata del loro boss, Ryuzo, sembrano alieni calati in ritardo sul pianeta da conquistare. Sono ridicoli nel loro pretendere un posto in un universo che ha rimosso i gangster di strada in favore di altrettanto letali e legali multinazionali; ottusamente legati ad un passato che li ricorda come guitti dell’archeologia criminale; ammorbidita la risolutezza delle loro azioni dall’età e fisicamente si ritrovano imbolsiti dalla meritata pensione nella quale galleggiavano. Kitano gioca facile sulla dicotomia vecchi valori VS nuova amoralità mostrando una parte di Giappone rionale, anonimo, globalizzato e molto lontano dalla sua idealizzazione ipertecnologica pregna di contraddizioni. Questo anonimato architettonico e sociale riflette in pieno l’appiattimento etico del mondo che i protagonisti (re)imparano a conoscere facendoli figurare come guitti di strada, picchiatelli e tutto sommato teneri dal cuore indurito. La modernità non ha rispetto dei vecchi. La nostalgia è quella del tempo che passa, del corpo che non risponde come dovrebbe e la mente a onor del vero non è che impartisca ordini sempre così puntuali mentre i giovani non hanno il senso del giusto e dello sbagliato. La nostalgia è per un film che più di così non può proprio fare perché la yakuza di Kitano non fa più paura a nessuno. Si è arresa al tempo che scorre come si arrende agli americani il kamikaze volontario fregato dalla fine della guerra proprio mentre stava per immolarsi e rifiuta di schiantarsi contro un palazzo atterrando sulla portaerei yankee. Non accetta la guerra moderna, quella del terrorismo senza valore. Tanto vale buttarla in farsa, senile e sommessa, nostalgica, ma sempre farsa è.
Il film sarà presentato al festival di cinema orientale ESTASIA - Cinema d'oriente in programma a Reggio Emilia dal 14 al 20 giugno 2016. Per info sul festival visitare la pagina facebook del festival ESTASIA.
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