Regia di Jean Renoir vedi scheda film
Raggiunto l'apice della propria carriera con il dittico di capolavori assoluti La Grande Illusione (1937) - La Regola del Gioco (1939), Jean Renoir non aveva rivali ai suoi tempi e l'orizzonte nonostante l'incompresione del suo ultimo film presso pubblico e critica, gli era spianato; purtroppo per lui le contigenze storiche gli furono sfavorevoli per via dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale. A seguito dell'invasione tedesca della Francia e dell'entrata in guerra dell'Italia, Renoir non ebbe altra scelta che sloggiare dall'inospitale Europa e tentare di raggiungere gli USA e lavorare ad Hollywood seppur non conoscesse all'epoca neanche una parola d'inglese.
La parentesi americana di Jean Renoir è tenuta in poca considerazione da parte della critica, d'altronde passare da un sistema produttivo europeo dove l'impronta dell'autore era molto più marcata anche per i costi più bassi dei film, ad un sistema industriale oramai codificato da decenni dove il pubblico ed il profitto sfrenato erano al primo posto, con produttori che esercitavano un controllo asfissiante sulle pellicole ed il regista era considerato un mero esecutore della volontà degli studios.
L'Uomo del Sud (1945) si può ad oggi considerare come sostiene la critica, il miglior film del periodo americano del regista, poichè questa volta oltre all'evidente influsso dei meccanismi del cinema narrartivo americano, come le gag tramite il personaggio della nonna ed un evidente ispirazione da Furore di John Ford (1940), Renoir torna alle atmosfere e ai temi dei suoi lungometraggi americani come i conflitti tra i membri della società e un certo realismo poetico nello stile registico, ripescando alcuni topoi che aveva sfruttato in Toni (1934), per poi abbandonarli nelle pellicole successive, facendo di quest'ultimo film un unicum nella sua filmografia.
Con l'uomo del sud, Renoir gira un dramma naturalistico, dove mette a confronto la famiglia Tucker con l'asperità della natura, la fatica ed il duro lavoro, dove non mancano i contrasti con i vicini, i quali contribuiscono a rendere la sfida del protagonista Sam Tucker (Zachary Scott), una lotta titanica nella speranza di poter ottenere un eccellente raccolto di cotone che gli consentirebbe di pagare l'affitto del podere e di divenirne un giorno proprietario costruendo una propria fattoria. Sam è uno scommettitore che mette in bilico il suo avvenire e quello dei propri familiari, facendo affidamento sulle proprie braccia, a scapito del suo alter "ego" Tim, che preferisce lavorare in città con uno stipendio sicuro in una fabbrica.
Una parabola del self made man tipica della cinematografia americana, un raccoglitore di cotone che con la sua famiglia, da dipendente tenta una scalata sociale per realizzare il suo sogno di diventare un piccolo proprietario terriero.
Il terreno è ottimo potenzialmente, ma incolto da svariati. anni e con una casa abbastanza malandata, c'è da lavorare duramente ma l'unità della famiglia visto l'appoggio incondizionato della moglie Nona Tucker (Betty Field) non manca di certo e anche i figli sopportano gli stenti e i digiuni serali, con la speranza di un ottimo raccolto primaverile che possa ripagarli del duro lavoro e dei loro sforzi, in modo da poter finalmente vivere da sè dignitosamente.
Non mancheranno le sventure tipiche dei film del genere; malattie, ristrettezze economiche, avversità della natura e un'ostilità forte da parte dei vicini; in effetti il tratto più Renoiriano e meno americano, è il ritratto gretto e rancoroso della piccola borghesia contadina del sud degli Stati Uniti. Il vicino Denvers, indurito dai molti sacrifici fatti per ottenere la sua misera fattoria, invece di sviluppare dei valori di solidarietà dettati dal suo triste passato, sviluppa un carattere scontroso e invidioso verso coloro che come Sam credono nella scalata sociale, volendo emanciparsi dalla loro condizione di lavoratore dipendente diventando infine proprietario.
Invecchiato bene e fruibilissimo anche oggi a distanza di oltre 70 anni, seppur appestato da risoluzioni semplicistiche nel rapporto tra confinanti, una religiosità che è estranea alla cultura laica del cineasta francese e nel finale ci si abbandona ad una certa retorica della speranza, che cozza con ciò che il regista aveva mostrato sino a poco prima, Jean Renoir mette in scena un confronto possente tra la volontà umana e quella della natura, la quale funge da ulteriore ostacolo per l'affermazione dell'uomo, lo stile registico sottolinea le dure prove e le privazioni materiali a cui Sam e famiglia sono soggetti, fino a girare sequenze di difficile realizzazione dal punto di vista della regia e messa in scena, come l'alluvione ed il fiume in piena in cui Sam deve addentrarsi per recuperare la mucca. Contraddittorio rispetto ai film precedenti del regista come Il Delitto del Signor Lange (1935) in cui si scagliava contro la proprietà privata ed i padroni, mostrandosi a favore del sistema della cooperativa, arrivando qui a glorificare Sam che vuole diventare proprietario, ci si trova comunque innanzi ad un ottimo film, di cui si segnala anche la presenza di Robert Aldrich come aiuto regista ed ennesimo cineasta formatasi alla "scuola Renoir" come Visconti prima di lui, un buon successo ai botteghini e presso la critica, prima di ritornare in Francia di lì a qualche anno.
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