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Elle

Regia di Paul Verhoeven vedi scheda film

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maurizio73

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Elle

di maurizio73
5 stelle

Adattamento cinematografico di un soggetto letterario, sembra trovare faticosamente il suo senso lungo l'esile filo conduttore di un divertissement intellettuale che rinviene, nelle irridenti provocazioni della trama e nella faccia da schiaffi della sua istrionica protagonista, le prevedibili strategie della sua consapevole battaglia iconoclasta.

Algida e cinica manager di mezza età, con un passato oscuro ed un'infanzia traumatica, viene improvvisamente violentata da un misterioso assalitore travisato nella bella casa in cui vive da sola.  La sua reazione, apparentemente fredda e distaccata, è solo l'inizio di un gioco al rimpiattino fatto di perversioni sessuali e di rituali sadomasochistici che la porteranno a scoprire l'identità dell'unica persona in grado di scuoterla dal grigiore e dall'apatia della sua inappagante vita borghese. Finale a sorpresa...o quasi.

 

locandina

Elle (2016): locandina

 

A prenderlo sul serio, questo psicodramma cinefilo dell'olandese Verhoeven, porterebbe inevitabilmente ad assecondare lo strascico polemico che ha accompagnato la sua presentazione rivierasca con tanto di feroci critiche al suo impianto smaccatamente derivativo e ad una pretenziosità autoriale sprezzante del senso del ridicolo.
Al netto della sensibilità di ciascuno spettatore, come pure delle più approfondite dissertazioni presenti nei rotocalchi di settore, questo adattamento cinematografico di un soggetto letterario sembra trovare faticosamente il suo senso lungo l'esile filo conduttore di un divertissement intellettuale che rinviene, nelle irridenti provocazioni della trama e nella faccia da schiaffi della sua istrionica protagonista, le prevedibili strategie della sua consapevole battaglia iconoclasta. Che poi si debba essere dotati di un discutibile sense of humor, piuttosto che di uno spiccato gusto per il macabro, per apprezzarne significato e sfumature è tutto un altro paio di maniche; compresa l'idea che dietro un'operazione del genere ci possa essere l'arguta presa in giro di chi utilizza la ribalta cine-glamour (Cannes, Hollywwood, se vi pare poco!) per demistificare in modo definitivo i rigidi codici di un linguaggio cinematografico che per forza di cose debba dirci qualcosa di importante sulle contraddizione dei comportamenti umani o che si prenda troppo sul serio. A dire la verità gli indizi di questa strategia della presa in giro ce n'è più d'uno: dagli ar(n)tefatti di una storia di traumi infantili che plasmano una personalità border-line alla promiscuità di una vita sociale e sessuale di famiglie allargate e madri putative (o puttane, a seconda dei casi), dal ruolo di donne di potere (professionale, economico, sessuale) fintamente sottomesse all'alter ego virtuale di eroine fetish che lo prendono volutamente in quel posto, dallo psicodramma di una vita segnata dalla violenza e dall'abuso al ribaltamento di ruoli di un voyerismo di buon vicinato dove il pericolo è in agguato non per chi guarda ma per chi viene guardato. Nessuna emulazione quindi di quei mostri sacri che vengono chiamati in causa come pietre di un paragone francamente fuori registro: da Haneke a Hitchcock, da De Palma a Von Trier; qui piani sequenza, flashback e campi stretti sono solo la divertita strategia di dissimulazione di un simulacro cinefilo da mandare definitivamente in pensione, con tutto l'armamentario di fisime sociologiche a base di sentimenti misogini e ferocia antiborghese: c'è di certo che i maschi sono solo dei vanagloriosi babbei (l'amante-giocattolo, l'ex marito immaturo, il figlio tontolone, il promesso sposo della madre perennemente in mutande, il vicino broker impotente e frustrato) mentre le donne se li spupazzano come vogliono e se la godono finchè possono, all'occorenza fra di loro (l'amica-complice, la nuora-arpia, la madre-gaudente, la vicina santa-laica, la mistress dominatrice e insensibile). Insomma un mondo cinico e divertito quello di Verhoeven, per un film che fa della costanza del registro ironico e dell'ammiccamento permanente il solo antidoto al facile equivoco della seriosità intellettuale e del ridicolo involontario (il 'maniaco' che gli lascia schizzi di sperma sulle lenzuala ed un messaggio a doppio senso di ambigua cortesia sul PC acceso: "Scusa se non mi sono potuto trattenere!"). Certo il film la tira per le lunghe e la monotonia del ritmo finisce per stancare, giustificando reazioni stizzite da chi credeva di trovarsi di fronte ad un thriller morboso e inquietante degno di questo nome, ma la stoica presenza scenica di una Isabelle Huppert che si presta con elegante leggerezza ad operazioni del genere vale quasi quanto la sua faccia impassibile durante la prevedibile debacle all'indecoroso spettacolo della Notte degli Oscar.

 

Nata di marzo nata balzana

Casta che sogna d'essere puttana
Quando sei dentro vuoi esser fuori

Cercando sempre i passati amori
Ed hai annullato tutti fuori che te...


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