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Regia di Paul Verhoeven vedi scheda film

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George Smiley

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La recensione su Elle

di George Smiley
8 stelle

Abbandonati ormai da tempo i fasti hollywoodiani, lasciatosi alle spalle la spettacolarità roboante dei film firmati tra metà anni '80 e primi anni 2000, Paul Verhoeven (ultimo film "Steekspel" del 2012) torna alle origini del suo cinema e lo fa avvalendosi di una coproduzione tra Francia, Belgio e Germania. Lontano dai toni sopra le righe per cui molti lo conoscono, punta l'obiettivo sulla classe borghese e sulle sue dinamiche familiari e interpersonali mettendone ancora una volta a nudo l'ipocrisia dietro cui si cela e il marcio che si nasconde sotto la facciata del benessere pecuniario, e lo fa con rinnovata violenza psicologica con tanto di passaggi sessualmente espliciti (non sorprende che, con un argomento così scabroso di cui parlare, sia arrivato nei cinema italiani con un ritardo di 10 mesi rispetto alle sale francesi, e i borbottii e le risate a fine proiezione me lo hanno confermato). Protagonista del film è Michèle, interpretata da una glaciale Isabelle Huppert, donna in carriera completamente anafettiva e cinica, madre di un ragazzo senza spina dorsale, con un passato sconvolgente alle spalle (il padre è ergastolano per aver commesso, quando lei era appena una bambina, una serie di efferati omicidi) nonchè critica dei comportamenti della madre. La sua vita cambia inesorabilmente quando un uomo con un passamontagna la aggredisce e la violenta in casa: da allora inizierà un perverso gioco psicologico con lo stupratore che si concluderà in maniera imprevedibile...

Verhoeven scoperchia violentemente la falsità dei rapporti tra persone e la mostruosità che si nasconde dietro ad un'apparente normalità, una mostruosità che ha il volto freddo e inespressivo di Michèle, un mostro di indifferenza, impassibilità e mancanza di scrupoli, un mostro creato da esperienze traumatiche vissute nell'infanzia. Il regista sembra dirci che il male non nasce dal nulla, ma ci viene instillato fin da piccoli e in fondo abbiamo tutti qualcosa da nascondere, ci vergogniamo della nostra più o meno marcata "mostruosità" e cerchiamo di nasconderla dietro a falsi sorrisi e a discorsi superficiali, occultando i demoni che ci tormentano nel profondo. Ma non tutto è privo di speranza: la possibilità di rompere le catene della menzogna esiste, ma non è facile da mettere in pratica.

Con una messa in scena essenziale e una regia più pacata ma ugualmente impietosa, Verhoeven ci restituisce un ritratto crudo e realistico del marciume che alberga nella classe benestante, interrogandosi sulle origini di questa piaga e offrendo uno spaccato poco rassicurante dei rapporti umani, con un'Isabelle Huppert abile nel tratteggiare un personaggio scomodo e calcolatore ma in fondo comprensibilmente fragile e determinato a scacciare le ombre del proprio passato.

 

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